Esattamente 10 anni fa Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo faceva il suo ingresso nelle sale italiane e, per una strana coincidenza, oggi arriva nelle nostre sale Solo: A Star Wars Story, lo spin-off di Star Wars dedicato al mitico Han Solo. Cosa hanno in comune queste due pellicole? Harrison Ford, ovviamente, storico volto del mitico Indy e storico volto dell’altrettanto mitico Han Solo, anche se nel secondo caso, trattandosi di prequel, il personaggio è stato interpretato da un altro attore, Alden Ehrenreich.
E, cosa ancora più importante, questi due titoli hanno in comune la responsabilità enorme di riportare sul grande schermo un personaggio iconico, entrato a far parte dell’immaginario comune, con l’intenzione di rilanciare e per certi versi rinnovare un percorso cinematografico caro a gran parte dei cinefili sparsi per il mondo. Il tempo ci dirà se lo spin-off di Star Wars riuscirà nel suo intento, mentre due considerazioni sul quarto capitolo delle avventure di Indiana Jones possiamo sicuramente farle.
Cosa rimane, passati dieci anni, di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo? Un brutto ricordo. E possiamo dirlo con assoluta tranquillità, senza girarci troppo attorno.
Quella di Indiana Jones, per il momento, rimane una bellissima trilogia, quasi nessuno tende a prendere in considerazione il quarto capitolo se non per sottolineare quanto sia stato in grado di fare del male alla saga e al suo protagonista. C’è una scena, in particolare, che nessuno sembra in grado di digerire e suona decisamente strano se contiamo che stiamo parlando di una saga che fa della componente fantastica il suo tema portante, che non ha mai avuto bisogno di appellarsi alla coerenza e alla plausibilità per risultare vincente. La scena del frigorifero:
Una scena spettacolare, per certi versi divertente se vista al di fuori del contesto in cui è inserita, ma che stona totalmente con le atmosfere della saga, perfino con “l’anello più debole” (escludendo Indiana Jones 4, ovviamente) rappresentato dal pur sempre godibilissimo Indiana Jones e il Tempio Maledetto. E non si tratta dell’unica scena, ovviamente, in poco più di due ore i personaggi mediocri, le strizzatine d’occhio svogliate e inserite con i calci in una sceneggiatura – opera di David Koepp – che prosegue per inerzia senza il minimo guizzo, si sprecano.
Cos’è, quindi, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo? È puro e semplice fanservice? Decisamente no, perché non saremo qui a lamentarci dopo dieci anni. È puro marketing, questa è la verità.
E se dobbiamo incolpare qualcuno non dobbiamo concentrarci su Steven Spielberg, che ha cercato in tutti i modi di salvare il salvabile, bensì su George Lucas, la vera mente di un progetto annunciato nel lontano 1996 e passato attraverso conflitti creativi che hanno sempre visto come principale oppositore il padre di Star Wars, che ha scartato diverse sceneggiature “obbligando” l’intera produzione a sfruttare il tema degli alieni senza capire che la spettacolarità è solo uno dei tanti fattori che hanno reso Indiana Jones un mito.
All’epoca abbiamo anche provato a difenderlo, a dirci che, in fondo, il nostro eroe era sempre lì e che per certi versi era un bene, che nessuno avrebbe mai potuto prendere il suo posto, tantomeno quello sbruffoncello di Shia LaBeouf, scelto per interpretare un figlio non desiderato (dal pubblico) ma almeno non degno di indossare l’iconico cappello del padre.
Anche per questo tremiamo al solo pensiero che in quel di Hollywood ci sia ancora la volontà di realizzare Indiana Jones 5. Perché sappiamo che, in questo caso, il coinvolgimento di Steven Spielberg dietro la macchina da presa non è sinonimo di garanzia (forse l’unico caso in una carriera che sembrava esente dai passi falsi). Perché nonostante il risultato mediocre si è deciso di affidare nuovamente la sceneggiatura a David Koepp. Perché continuano a ripeterci che queste sono opere realizzate per i fan, per premiare il loro grande amore. Ma non hanno capito che a noi, i fan, una trilogia basta e avanza.
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