Sam vive a Los Angeles, non ha un lavoro e passa le giornate a guardare i vicini come il James Stewart di La finestra sul cortile. Legge fumetti, strimpella la chitarra, ha una relazione di letto con un’aspirante attrice, parla regolarmente con la mamma e, soprattutto, ha un debole per una delle ragazze dell’appartamento di fronte con cui, una volta, è anche riuscito brevemente a baciarsi. Proprio lei, Sarah, scompare misteriosamente nel giro di una notte. Si è trasferita senza avvertirlo? È stata rapita? È morta assieme ad un famoso produttore cinematografico della zona a cui è esplosa l’automobile? Sam si tuffa in un’indagine che lo porterà a confrontarsi con il mondo patinato della città degli angeli, tra aspiranti attrici, band emergenti, santoni di filosofie new age, fumettisti ossessionati dai messaggi in codice e tante altre improbabili figure.
David Robert Mitchell ha un suo modo di vedere e fare cinema che lo rende uno dei registi emergenti più interessanti del panorama americano. Se questo talento era già stato dimostrato con It Follows, Under the Silver Lake lo conferma. Certo, il mondo che ci presenta lo conosciamo già, è quello di Alfred Hitchcock, David Cronenberg e David Lynch (in particolare Mulholland Drive), ma il modo in cui ce lo mostra è quello di chi è stato adolescente negli anni ‘80. E allora i riferimenti, sia visivi che narrativi, sono pop come mai prima d’ora: videogames, regali sorpresa nei cartoni dei cereali, musica grunge e così via. Non solo, lo è anche la struttura del suo film che invece di usare l’onirismo per giustificare la perenne esistenza di misteri, uno legato all’altro senza soluzione di continuità (tanto che il messaggio finale sembra essere “stai calmo”, lascia stare, è così), sembra optare per “è tutto un gioco”, anzi, un videogioco. Come in Monkey Island seguiamo Sam raccogliere armi, decifrare improbabili codici partendo da indizi piuttosto forzati (nella camera c’è una pila di riviste Nintendo Magazine e allora è lì che si deve cercare il significato nascosto di una canzone) e intrattenere dialoghi con personaggi mai visti prima, ma ora necessari per avanzare di un quadro. L’obiettivo: lo stesso di Mario Bros., raggiungere in qualche modo l’amata, magari proprio dentro una caverna. Se dal punto di vista registico e interpretativo (bravo Andrew Garfield) il film tiene, non si può dire lo stesso per la sceneggiatura, che perde di interesse quando si capisce che non a tutto verrà dato spiegazione, che il senso del film non è trovare il cattivo, ma raccontare una Los Angeles così piena di misteri che è bene prenderla semplicemente per ciò che è, ciò che del resto veniva già raccontato – ma con maggiore spessore – da Vizio di forma di Paul Thomas Anderson.
Passato in concorso al Festival di Cannes 2018, Under The Silver Lake risulta così un film a metà, tanto affascinante quanto impalpabile per ciò che lascia allo spettatore. Da David Robert in futuro ci aspettiamo di più.
Under the Silver Lake arriverà nelle nostre sale distribuito da Cinema S.r.l. in data ancora da definire.
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