GUARDA la nostra intervista alla protagonista Alicia Vikander
Recensione a cura di Michele Monteleone
Questa recensione sarà più positiva di quanto si meriti il film, sarà così perché sono un inguaribile ottimista e voglio vedere il buono in ogni cosa. Quindi, se volete continuare a credere, potete fermarvi (come direbbe Giucas Casella) quando ve lo dico io. Comunque bando alle ciance e cominciamo, direi dall’inizio
Flashback.
Avevo otto anni quando è uscito il primo Tomb Raider, il videogioco, non il film, non sono così giovane. Ero seduto sul pavimento della cameretta di un mio amico che lo aveva ricevuto per natale in piena fibrillazione, era il 1996, il mondo era un posto diverso, internet era ancora agli albori e io non sapevo assolutamente nulla di quello che mi sarei dovuto aspettare dal gioco, anche se ero abbastanza convinto che il protagonista si chiamasse Tom Raider. Fu proprio questo fraintendimento che mi fece storcere il naso quando a schermo, dopo l’intro ambientata nel 1945, apparve la protagonista, Lara Croft. Una femmina. A otto anni fu una specie di affronto essere costretto a giocare con un personaggio donna, ma è anche vero che era il periodo in cui recitavo a memoria le battute di Indiana Jones, quindi dopo sei ore ininterrotte (grazie ancora mamma di Claudio che non ci faceva mai smettere) di caccia al tesoro, indovinelli e sparatorie, il mio amore per Lara era sbocciato. E come per me, per un intera generazione di ragazzi e ragazze che vedeva apparire una delle prime figure femminili forti e di successo nel mondo videoludico.
Oggi.
Dopo un paio di film non proprio riuscitissimi dedicati all’archeologa con le desert eagle, in cui però a interpretarla c’era la più che perfetta Angelina Jolie, e un reboot invece riuscitissimo della saga videoludica nel 2013, quest’anno arriva nei cinema il film della MGM.
L’attrice che veste i panni di Lara è Alicia Vikander che ha partecipato a produzioni interessanti come Ex Machina, Operazione U.N.C.L.E. e The Danish Girl, ma che non mi ha mai particolarmente impressionato con le sue doti attoriali e per essere particolarmente carismatica. C’è da dire che, in un’epoca in cui i fan impongono la loro dittatura di totale aderenza al materiale originale, la Vikander era gemella monozigote del modello 3D della Lara del nuovo gioco della Square Enix.
Come avrete intuito non sono un fan del “è uguale, uguale a quello del fumetto/gioco”, quello che amorevolmente definisco effetto cosplayer, quindi il mio umore andando al cinema per l’anteprima era simile a quello di un condannato a morte.
Mi piazzo nelle poltroncine del cinema con le aspettative settate su adattamento di Max Payne e inizio a pregare che finisca tutto il prima possibile.
E invece…
E invece la prima metà del film scorre bene con anche qualche scena davvero interessante. La storia è inquadrata prepotentemente nel filone “le origini”, Lara è povera in canna perché non vuole firmare i documenti con cui attesterebbe la morte del padre (persosi anni prima alla ricerca di chissà quale tesoro) e che soprattutto le darebbero la procura sull’enorme fortuna di famiglia. La trama non stupisce certo per originalità, ma il regista danese Roar Uthaug, sa cosa fare dietro la camera quando si tratta di riprendere l’azione. Così infila una divertente sequenza di inseguimento in bicicletta in cui Lara scommette di riuscire a seminare un vasto gruppo di concorrenti mentre un barile di vernice attaccato alla sua ruota anteriore continua a perdere colore lasciando una “pista” sulla strada. Una sorta di caccia alla volpe o, ancora, la versione eco-friendly delle gare di macchine di Fast and Furious.
La parte del film dedicata alla vita di Lara prima della scoperta che il padre è scomparso alla ricerca di una misteriosa isola disabitata sulle coste del Giappone, su cui dovrebbe trovarsi la tomba di una sanguinaria imperatrice imprigionata secoli prima, scorre abbastanza piacevolmente. È solo azzoppata dai continui e superflui flashback che continuano a sottolineare il rapporto tra i due, con la solita ansia, tutta moderna, di dover dare per forza una spiegazione a qualunque aspetto del passato di ogni personaggio. Ma tolto questo problema che hanno un po’ tutte le produzioni post boom della narrativa delle serie tv, si arriva al momento della partenza per l’avventura con un po’ di speranza nel proseguo della storia.
Speranza che straordinariamente non viene affatto delusa: infatti, dopo una scena che gli appassionati di videogiochi troveranno molto aderente, per estetica e meccaniche a Uncharted (fa ridere un po’ il paragone con un gioco che effettivamente si ispira profondamente proprio alla saga di Tomb Raider), Lara riesce a trovare un passaggio per l’isola in cui è scomparso il padre. A prestargli la sua barca è il figlio dell’uomo che ha aiutato il padre anni prima e qui inizia a prendere piede uno dei temi fondanti del film di cui però si sarebbe fatto volentieri a meno: il rapporto padre-figlio/a, ma per ora sorvolo, perché ci sono ancora un paio di belle scene prima di arrivare agli intoppi più grossi.
Una tempesta fa naufragare i nostri sull’isola misteriosa, un’altra scena credibile, girata ancora una volta con furbizia da Uthaug che, è evidente guardando la sua produzione precedente, sa gestire budget risicati facendo fruttare il più possibile ogni singolo shot.
Si arriva quindi all’isola e scopriamo che il cattivo di turno è una faccia nota, Walton Goggins, la mia faccia da pazzo preferita di Hollywood. Il suo personaggio, Vogel, è bloccato sull’isola da anni alla ricerca della stessa tomba che ha portato alla scomparsa del padre di Lara. In un botta e risposta che permette all’attore inglese di mettere a frutto quel suo sguardo da fuori di testa, scopriamo che non solo Vogel conosceva il signor Croft, ma è anche il responsabile della sua morte e che, Lara arrivando sull’isola con i suoi appunti, gli ha appena consegnato la chiave per trovare finalmente la tomba e andarsene di lì. Inizia a sentirsi prepotentemente l’eco del già visto, ma il film regge.
Lara scappa dal campo di Vogel, finisce, ferita in un fiume e ne segue una spettacolare (la migliore del film in assoluto), scena d’azione, in cui la nostra si aggrappa all’ala del rottame di un grosso aereoplano incastrato proprio sul ciglio di una gigantesca e impetuosa cascata. Ne segue una sequenza basata sui rovesci di fortuna in cui la nostra salta, si aggrappa e lotta per non cadere nel vuoto e, alla fine atterra, spossata e gravemente ferita ai piedi della cascata.
Bello.
Davvero, intrattenimento piacevole e ben costruito. Ci si prende qualche secondo per mostrare Lara sola e disperata su una spiaggia costellata di relitti di vecchie navi e poi parte l’ultima buona scena del film. Lara viene sorpresa da uno degli scagnozzi di Vogel e, alla fine di una disperata scena di combattimento, è costretta a uccidere per la prima volta.
Arrivati a questo punto del film, io e la persona con cui ero andato al cinema ci giriamo per farci un bel segno d’assenso: ci stiamo divertendo e quest’ultima, drammatica, sequenza ci ha convinto. Il personaggio, sebbene non sia particolarmente innovativo, è costruito bene, la tensione emotiva dosata con attenzione e, d’ora in avanti, basterà costruire sulle solide fondamenta che si sono gettate e il film si porterà a casa il risultato.
Stacco al nero.
Il film è finito e io esco dal cinema con l’aria di uno a cui hanno rubato la merenda.
La pellicola, raggiunto il suo apice, purtroppo precipita su sé stessa, un colpo di scena immediatamente successivo alla prima uccisione di Lara, fa crollare la tensione, depotenzia il personaggio e rimette la storia sui binari di una copia (molto) povera di Indiana Jones e l’ultima Crociata. Che trasforma, in un attimo, un personaggio ferito e traumatizzato, in una vendicatrice senza il minimo rimorso, pronta a uccidere chiunque gli si metta contro. E nel fare tutto questo, riesce anche a mancare di un miglio un obbiettivo che, con un personaggio come Lara Croft, non mi pareva possibile sbagliare: canna completamente il messaggio femminista o pseudo tale, che in questo momento storico sembra dover essere appiccicato ad ogni storia. Infatti, invece di lasciare Lara sola a combattere per la propria sopravvivenza e la conquista del tesoro, la sceneggiatura la contorna di noiose e superflue figure maschili che vanno continuamente in suo soccorso. Insomma un traballante modello femminile per le spettatrici.
In conclusione, un film che poteva fare tutto giusto, ma che invece riesce a metà, si perde per strada gli ottimi progressi che aveva fatto nella costruzione del personaggio principale e che, visto che come ho detto sono un inguaribile ottimista, mi può solo far sperare in un seguito più a fuoco, in grado di prendere il buono che si era fatto nella prima parte di questo primo capitolo e metterlo a frutto.
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