Cinema

L’importanza di chiamarsi (Scott) Eastwood

Pubblicato il 21 marzo 2018 di Filippo Magnifico

Da un grande nome derivano grandi responsabilità. Lo sa bene Scott Eastwood, figlio di quel Clint che è una vera propria istituzione in quel di Hollywood (e in tutto il mondo, sia chiaro). Lo ha capito subito, in tenera età, quando facendo zapping si è trovato di fronte a maratone televisive dedicate a suo padre, quando è andato a trovarlo sul set. Cose che ti fanno capire di non essere un bambino come tutti gli altri, che il tuo cognome va trattato con il massimo rispetto.

Un rispetto che Scott Eastwood ha dimostrato nel momento in cui ha capito di voler intraprendere la carriera cinematografica e proprio per questo ha deciso di prendere le distanze dal suo nome, presentandosi ai provini come Scott Reeves (il cognome della madre, l’hostess Jacelyn Reeves).
Se voglio diventare attore, devo farcela con le mie forze” deve aver pensato e del resto era quello che gli aveva sempre ripetuto suo padre: “se vuoi qualcosa, devi guadagnartela“.
Scott Reeves è stato scartato in più di un’occasione ai provini, rifiuti che molto probabilmente non sarebbero arrivati per Scott Eastwood ma che gli hanno permesso di fare la gavetta come tutti i suoi colleghi e coetanei. Lo stesso padre non ha esitato a dirgli no. Gli ha offerto dei piccoli ruoli in pellicole come Flags of Our Fathers e Gran Torino, è vero, ma allo stesso tempo lo ha scartato per American Sniper.

Gli ha offerto ruoli solo quando se lo meritava sul serio e nel momento in cui ha iniziato ufficialmente il suo percorso nel mondo della settima arte lo ha lasciato camminare da solo, intervenendo sporadicamente solo per dargli qualche consiglio. Come quando gli ha detto che, forse, sarebbe stato meglio rifiutare il ruolo di Christian Grey in Cinquanta sfumature di grigio. Un film che lo avrebbe trasformato in una superstar ma che ha preferito evitare e non solo per seguire il consiglio paterno. La verità e che Scott Eastwood non vuole essere considerato un sex symbol, non è la sua priorità.
Anche quando ha intrapreso la carriera di modello o ha interpretato il ruolo di belloccio per Taylor Swift, ha sempre trattato quelle esperienze con distanza, considerandole semplici esperienze lavorative, in attesa di occasioni migliori.

E le occasioni sono arrivate attraverso titoli come Fury di David Ayer, dove ha interpretato il ruolo del Sergente Miles, e La risposta è nelle stelle, trasposizione dell’omonimo romanzo di Nicholas Sparks. Vedendolo nel ruolo del moderno cowboy Luke Collins, si intuisce facilmente il motivo per cui ha rifiutato di interpretare Christian Grey, preferendo un ruolo che, decisamente, era più nelle sue corde. Ma soprattutto si capisce che nelle sue vene scorre il sangue degli Eastwood.
Più recentemente lo abbiamo visto in Suicide Squad e in Fast & Furious 8 accanto a Vin Diesel e Charlize Theron ed è ora pronto per arrivare nelle nostre sale con Pacific Rim: La rivolta, il sequel del film diretto nel 2013 da Guillermo del Toro. Dai bolidi a quattro ruote ai robottoni, il passo e stato breve, ma anche in questo caso Scott Eastwood ha deciso di diventare il pilota di un gigantesco mostro metallico perché convinto di trovarsi di fronte ad un ruolo importante:

Puoi avere tutti i grandi effetti visivi che vuoi, ma se non ci sono dei personaggi di cui innamorarsi, quando guardi il film rimani comunque distante durante le grandi scene d’azione. Se invece sei in grado di viaggiare con loro, il film ha su di te un impatto molto molto più potente.

Un grande film che si aggiunge ad un percorso cinematografico che sta regalando parecchie soddisfazioni. Con fatica Scott Eastwood è riuscito a cambiare l’atteggiamento del mondo nei suoi confronti, scrollandosi lentamente di dosso quell’aria da “bello senz’anima”.
Quello che non cambia è il suo atteggiamento nei confronti del mondo. Perché la vita è fatta di piccole cose che si trovano lontane dal patinato mondo delle star.
Hollywood è bella solo se ci vai per lavoro“, ha detto, e proprio per questo ha deciso di vivere lontano dalla patria del cinema, a San Diego, sul mare, circondato da veri amici che non gli permetterebbero mai di montarsi la testa più del dovuto.

L’importanza di chiamarsi Eastwood risiede anche in questo, nel rendersi conto che, pur con tanti privilegi, è necessario rimanere sempre con i piedi ben ancorati al terreno, osservando l’orizzonte con due espressioni ben precise: con il cappello e senza cappello.

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