Il motivo per cui trovo anacronistico, leggermente risibile e perfino controproducente ogni tentativo di revanscismo nerd condotto su milioni di pagine FB e spazi altri dell’Interweb è che i nerd non hanno bisogno oggi, nel 2018, di nessuna parata da pride, di difensori capopopolo, di gente indignata che verga lettere aperte piene di punti esclamativi quando un quotidiano ha scritto che Wolverine è un eroe DC Comics o che so io. I nerd la loro rivincita l’hanno già avuta, anche senza Caccola e gli altri Lamba Lambda Lambda. I nerd dominano il mondo dell’entertainment, e cioè le grandi multinazionali, e cioè il pianeta e le vostre vite. Gente come JJ Abrams, Robert Kirkman o Seth MacFarlane. A tal punto che quest’ultimo ha potuto scriversi un telefilm in cui può interpretare un capitano James T. Kirk buffo, in una sua versione di Star Trek. Perché sì. Questo è The Orville, e se gli altri nerd devono accontentarsi delle fanfiction, Seth MacFarlane può farsene girare una attorno da decine di milioni di dollari. E fregarsene bellamente se la critica non apprezza.
Facciamo un passo indietro. Seth Woodbury MacFarlane, classe ’73 da Kent, Connecticut, è diventato universalmente noto come il creatore de I Griffin/Family Guy, American Dad! e The Cleveland Show. Il MacFarlane degli anni Dieci è però una macchina da soldi a cui l’animazione sta stretta, e con la storia dell’orsacchiotto sboccato Ted e la faccia di Mark Wahlberg, da lui scritta e diretta (la storia di Ted, non la faccia di Wahlberg), riesce a tirar fuori mezzo miliardo di dollari da un film che ne è costati sì e no cinquanta. Così quando porta alla Fox questa idea che aveva sin da bambino, una parodia di Star Trek interpretata da lui stesso, alla volpe del ventesimo secolo gli spalancano il libretto degli assegni in pelle umana e gli dicono “Fai pure. Vai, divertiti”. E si diverte, Seth, in una prima stagione di 12 episodi da tre quarti d’ora l’uno, andata in onda negli USA tra settembre e e dicembre, e in arrivo da noi su Fox l’11 di questo mese.
La storia è quella di un capitano pasticcione, Ed Mercer (MacFarlane) a cui l’Unione Planetaria affida il vascello che dà il titolo alla serie, la U.S.S. Orville, ponendolo alla guida di un colorato equipaggio formato dalla sua ex moglie Kelly Grayson (Adrianne Palicki), da un suo amico timoniere ubriacone (Scott Grimes), da una giovane aliena fortissima (Halston Sage), da un simil-Klingon, da un’intelligenza artificiale fastidiosa, da una dottoressa di mezza età che ne sa. Gag e imbarazzi di bordo, tra le altre cose, ruotano attorno al fatto che il primo ufficiale Grayson e il capitano sono divorziati da un anno perché lui l’ha trovata a letto con un alieno blu che squirtava dalla faccia. Giusto per capire il tono di base del tutto. Ora, non è facile giudicare The Orville, soprattutto dopo le battute a vuoto che riempiono la prima puntata. Di quelle che vanno bene in un episodio dei Griffin, molto meno in una parodia live action che non sembra avere da principio la carica comica giusta per essere fino in fondo quello che dovrebbe essere: un’affettuosa presa per il culo delle cose più buffe classiche di Star Trek.
La critica, si diceva, ha disintegrato la serie a colpi di phaser, criticandone qualsiasi aspetto, dalle battute alle performance dello stesso MacFarlane come protagonista. Critiche a leggere le quali si fa fatica a obiettare qualcosa, visto che in effetti è vero, molte battute sono roba da sitcom anni 90 e sì, MacFarlane ha il carisma di un benzinaio di notte. Ed è altrettanto innegabile che lo show vive questa sorta di imbarazzo per cui non spinge mai sull’acceleratore quando dovrebbe, come se MacFarlane avesse il timore di bestemmiare in chiesa, o qualcosa del genere. Ecco, sì, The Orville sembra quasi, alle volte, irriverente quanto può esserlo una recita sul Vaticano… girata in Vaticano, davanti all’intero conclave cardinalizio. Però, se si resiste alle battute appiccicaticce su Kermit la rana e sulle banane, se si riesce ad apprezzare in qualche modo i personaggi, per quanto scontati siano, succede qualcosa di strano. C’è, in altre parole, il rischio che The Orville, con tutti i suoi difetti, rientri a pieno titolo nella categoria guilty pleasure.
Prendete uno qualsiasi di quegli inutili siti aggregatori di voti. Guardate i punteggi medi rifilati dalla critica a The Orville, roba che MacFarlane non potrebbe chiedere ai suoi neanche un motorino di seconda mano. Poi però guardate quanto alti e divergenti sono i voti del pubblico. Gli ascolti sono stati buoni per tutta la stagione e il pubblico nel complesso sembra aver gradito, soprattutto i Trekkie. Forse proprio perché la parodia è gentile e si azzarda anche un minimo di storia. Forse perché abbiamo visto serie ufficiali di Star Trek negli ultimi vent’anni che, senza volerlo, facevano ridere molto di più. Forse perché, oh, senti, c’è gente che trascorre i suoi sabati sera vedendo ex vip che si spatafasciano al suolo cercando di eseguire passi di ballo da saggi per bambine di sei anni. E allora vale tutto. Bello, insomma, The Orville? Brutto? Scemo? Dotato di un suo senso? Sinceramente? Dopo 12 puntate non l’ho ancora capito. Fate voi. La risposta, probabilmente, la conosce solo Isaac, il robot di bordo della nave, ma non la dirà a nessuno. Stronzo egoista dagli occhietti luminosi.
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