Seconda Occasione: il mancato scandalo del remake di Lolita (1997)

Seconda Occasione: il mancato scandalo del remake di Lolita (1997)

Di Nanni Cobretti

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L’ACCUSA: vuoi per l’argomento delicato, vuoi per l’oltraggio di dare al regista di Nove settimane e mezzo un film che era già stato girato nientemeno che da Stanley Kubrick, ma questa nuova versione di Lolita semplicemente non andava girata.

SVOLGIMENTO: la chiave della faccenda sta nel fatto che i responsabili della New Line a un certo punto videro una prima bozza di montaggio e decisero di rompere il contratto e tirarsi indietro.
È così che Lolita 1997 si qualifica come flop gigantesco: 62 milioni di budget, e nessuna distribuzione.
Tranne in Europa.
Indovinate in quale paese Lolita ha avuto la sua prima mondiale?
Facciamo prima un passo indietro.

Adrian Lyne, inglese, inizia la carriera come regista di spot televisivi, poi passa al lungometraggio con Foxes, storia di amicizia, sbronze e sesso tra ragazzine a Los Angeles che, se vi piacciono le profezie, potrebbe essere visto come una specie di Lolita moltiplicato quattro con Chachi di Happy Days al posto di Humbert Humbert. Poi gira Flashdance e fa esplodere i botteghini lanciando Jennifer Beals (nel vuoto, perlopiù), portando a casa quattro nomination e un Oscar per miglior canzone, e forse anche il Festivalbar.
Poi gira Nove settimane e mezzo. Famosissimo, no?
Uhm, no.
In Italia fu il terzo maggiore incasso dell’anno, più di Ritorno al futuro.
Negli USA fu un flop che incassò appena un terzo del budget.

Quando arriviamo a Lolita, Lyne aveva già ampiamente recuperato la situazione grazie ad Attrazione fatale e Proposta indecente, entrambi film chiaccheratissimi (almeno loro) anche negli USA, e si sentiva pronto al progetto ambizioso, alla prova di maturità.
Lolita, da un romanzo di Vladimir Nabokov già diventato film nel 1962 grazie a nientemeno che Stanley Kubrick.
Un altro film destinato a far discutere di sesso, scandali, perversioni.
Tranne che, uhm, no, neanche questa volta: non è dato sapere cosa la New Line avesse visto in quella prima bozza di montaggio che fosse diverso da ciò che ci si può ragionevolmente aspettare da uno come Adrian Lyne, fatto sta che si ritirarono dall’affare condannando il film a un pesantissimo flop commerciale, salvato in ultimo dal canale via cavo Showtime e in seguito distribuito limitatamente tanto per essere considerato candidabile ad eventuali premi. Dei 62 milioni di budget, ne rientreranno 6.
In Italia invece scherziamo? Lo accogliemmo più o meno a braccia aperte, felicissimi di regalargli la prima mondiale senza problemi, anzi, promuovendolo al TG.

Ideologicamente parlando Lolita è sempre stata una proposta delicata e facilmente equivocabile, e l’approccio di Lyne non era per forza dei più promettenti.
Era un esperto della provocazione a sfondo sessuale.
Era un figlio tipico degli anni ’80, un fuoriclasse dell’estetica vuota.
Era un “furbo”, contrapposto a Stanley Kubrick la cui fama di autore intoccabile per eccellenza è ormai inscalfibile.
Ma era un furbo con il piano apparentemente rispettabile di rifarsi al romanzo originale più fedelmente di quanto Kubrick avesse potuto fare, costretto com’era dalla fama di Peter Sellers a concedere fin troppo spazio al personaggio di Quilty e a dargli doti camaleontiche che sembravano più utili a mettere in mostra il talento di Sellers che al contesto.

Il ruolo di Humbert Humbert viene messo in cassaforte grazie a Jeremy Irons (seconda scelta dopo Dustin Hoffman), capace come pochi a mantenere un’aria di dignità in situazioni compromettenti, ma è ovviamente la protagonista femminile ad richiedere una scelta delicata.
Dopo svariati provini, Lyne ingaggia l’esordiente Dominique Swain.
16enne all’epoca delle riprese, Dominique deve interpretare una 14enne (12enne nel libro) ma le gambe lunghe, le spalle larghe e il portamento sgraziato fin troppo accentuato la fanno sembrare in realtà più grande della sua età piuttosto che il contrario: sembrerebbe una mossa pensata apposta per smorzare le controversie, ma alla New Line non basta.
Nel ruolo di Quilty viene ingaggiato Frank Langella, solidissimo caratterista che probabilmente conoscete per il ruolo di Skeletor nei film dei Masters of the Universe, o più recentemente grazie alla nomination agli Oscar ricevuta per Frost/Nixon nei panni di quest’ultimo. La sua fama non è ingombrante come quella di Peter Sellers, e Adrian Lyne può fare di lui una presenza quasi subliminale, dandogli sostanzialmente solo due scene per lasciare che la storia si concentri unicamente sulle fissazioni di Humbert Humbert.

Ed è proprio qui che casca l’accusa più comune al film: nel suo appassionarsi al dramma del protagonista, bypassa completamente tutto l’humour irriverente di cui il romanzo di Nabokov è pervaso, finendo per snaturarlo in direzione di un dramma ultra-patinato che nei momenti migliori mostra notevole padronanza estetica e un’eleganza tutt’altro che scontata, ma nei peggiori pare poco più di una fiction pretenziosa.
Adrian Lyne si risollevò cinque anni dopo girando un altro remake, Unfaithful (da Claude Chabrol), che guadagnò recensioni positive ed è a tutt’oggi il suo ultimo film.
Dominique Swain, che nello stesso anno era apparsa anche in Face/Off di John Woo nel ruolo della figlia di John Travolta, finì quasi subito confinata nel circuito dei thriller a basso costo per il mercato homevideo, e oggi è una di quelle persone che girano undici film all’anno di cui uno è un Asylum intitolato The Fast and the Fierce.

VERDETTO: effettivamente meglio di quanto abbia il diritto di essere, non ha il rigore di Kubrick né la sbandierata fedeltà a Nabokov, ma è una storia tutto sommato ben raccontata con diversi tocchi di una classe insospettabile.

COS’HO IMPARATO: negli USA non sono pronti a parlare di sesso in modo più esplicito di un bacio appassionato dopo una corsa in aeroporto sotto la pioggia. Ho anche imparato, sfogliando Youtube, che per qualche motivo un sacco di gente è convinta che Dominique Swain sia Lana Del Rey da giovane.

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