Recensione a cura di Adriano Ercolani
Prima del pessimismo post undici settembre, prima che Hollywood diventasse un meccanismo industriale basato esclusivamente sul guadagno dei cinecomic o dei franchise stracolmi di effetti speciali, Los Angeles era un posto in cui anche uno squinternato senza il men che minimo talento poteva realizzare il suo film. La Città degli Angeli era ancora una terra promessa capace di offrire opportunità ai poveri diavoli venuti a cercar fortuna. Anzi, meglio: poteva ancora offrire loro una visione. Certo, se poi quella di Tommy Wiseau era talmente orribile da diventare il peggior lungometraggio della storia del cinema, The Room, ecco che allora la fondazione di quello stesso sogno può essere rovesciata in chiave quasi parodistica.
È quello che ha fatto James Franco con il suo nuovo The Disaster Artist, storia di come venne realizzato quel film senza senso. Rispetto alla parte comico-grottesca della storia, che risulta comunque efficace pur senza brillare per trovate o situazioni originali, il film funziona principalmente come ritratto del momento storico e sociale di una città. Quello che si respira in The Disaster Artist è lo spirito d’iniziativa, la voglia di tentare, il coraggio di gettarsi a capofitto in un progetto anche senza saper neppure lontanamente come portarlo a termine. Alla fine Tommy e il suo miglior amico Frank rappresentano una variante incredibilmente sciocca del self-made man americano, eppure possono essere inseriti nella stessa categoria di coraggiosi sognatori in cui sono contenuti tanti eroi del cinema a stelle e strisce. È una questione di abilità, non di natura umana, sembra volerci ricordare Franco con il suo lavoro.
Favola su un tempo forse definitivamente passato in cui fare film era visto come un’impresa alla portata dei tenaci – processo che deve essere distinto da quello di oggi, dove si può “fare cinema” con il proprio iPhone – The Disaster Artist ha il suo maggior punto di forza in quelli che in altre produzioni sarebbero forse considerati difetti. Come il film che mette in scena infatti anche l’opera di Franco vaga senza una meta narrativa forte, segue le suggestioni della follia creativa (parola forte…) di Wiseau assecondandole attraverso una canovaccio prestabilito che sembra lasciare la porta costantemente aperta a divagazioni dissennate. Ci si può facilmente perdere in The Disaster Artist se si cerca a tutti i costi un senso: meglio lasciarsi trasportare dalla soave astrusità di Tommy e della sua crew. James Franco interpreta il protagonista con più che discreta aderenza mimica, coadiuvato da suo fratello Dave con cui forma una coppia decisamente affiatata. Nei pochi momenti in cui è in scena Seth Rogen riesce a conquistare il sorriso grazie al suo tono incredulo e spassoso. Il resto del cast di comprimari è funzionale e divertito almeno quanto gli attori principali. E il cammeo di Bryan Cranston pre-Breaking Bad, quando interpretava il papà gioviale in Malcolm in the Middle, è semplicemente da antologia.
The Disaster Artist non si prende sul serio, non pretende di essere rigidamente costruito, e proprio per questo nella sua libertà quasi raffazzonata ci ricorda che fino alla fine degli anni ‘90 fare cinema poteva essere (anche) una questione di spudorata, gioiosa, squinternata incapacità.
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