Il giovanissimo supereroe di Gabriele Salvatores cresce di pari passo con le sue avventure, i cui capitoli sono chiaramente influenzati dall’età anagrafica di Michele Silenzi e del suo interprete Ludovico Girardello: se il primo episodio era fondamentalmente un film per bambini, Il Ragazzo Invisibile: Seconda generazione predilige invece i teen-ager, cercando di interiorizzare e rielaborare la lezione creativa della Silver Age.
L’intenzione, alquanto palese, è di caratterizzare Michele come un classico “supereroe con superproblemi”, affidando all’adolescenza il suo percorso formativo. Il passaggio all’età adulta coincide infatti con la maturazione della sua identità supereroistica, innescata dall’immancabile trauma: Michele ha appena perso sua madre Giovanna (Valeria Golino) in un incidente automobilistico, e nutre rancore verso un mondo che lo marginalizza – come fanno i suoi coetanei – o lo guarda in modo pietoso – come fanno gli adulti. Al contrario, l’ambigua Yelena (Ksenia Rappoport) vede in lui un grande potenziale: ella è infatti la sua madre biologica, e vuole coinvolgerlo in un piano di vendetta contro Igor Zavarov (Victor Conrad), il magnate russo che rilevò la Divisione dall’esercito, e torturò gli Speciali – Yelena compresa – per testare i loro poteri. Michele scopre di avere anche una sorella gemella chiamata Natasha (Galatea Bellugi), pirocineta che ha vissuto sulla pelle gli orribili abusi del suo patrigno, e ora non sopporta alcun tipo di contatto fisico. Intanto, però, qualcuno sta rapendo gli altri Speciali in giro per l’Europa, con intenzioni oscure.
Salvatores e il suo trio di sceneggiatori desiderano imitare i modelli d’oltreoceano, puntando a una caratterizzazione “schematica” dei vari personaggi: gli Speciali sono riconoscibili non soltanto dai loro poteri, ma anche dall’aspetto fisico, dal trucco e dagli abiti che indossano, come dimostra l’insistenza sulla scena della vestizione. Il cineasta napoletano (ma milanese d’adozione) è ben consapevole del valore iconico dei supereroi, e queste sue incursioni nel cinecomic sono un tentativo di emancipare il cinema italiano contemporaneo dal verismo, dal dramma borghese e dalla commedia popolare: in sostanza, un passaggio dallo strapotere della parola – con l’impegno psicologico-sociale che ne consegue – al dominio dell’immagine spettacolare, abbandonando i proclami di autorialità (spesso pretestuosi) in favore del cinema delle attrazioni. Le risorse non sono paragonabili ai colossi americani, ma Salvatores fa di necessità virtù, e centellina l’azione in piccole dosi, fino a una battaglia finale dove cerca di mascherare i limiti della produzione. Sul piano tecnico, il risultato è lodevole: certe soluzioni ricordano l’artigianato del vecchio cinema italiano, mentre il digitale è abbastanza solido da garantire qualche momento suggestivo, soprattutto nell’epilogo.
È chiaro che Salvatores si trova più a suo agio nell’espressione del fantastico, quando può sfogare il suo desiderio di creare altri mondi (ricordate Nirvana?) o di rileggere la nostra realtà sotto una luce diversa (come in Denti e Io non ho paura). Le scene ambientate presso la Divisione sono ben confezionate, e la giostra degli effetti visivi è divertente, per quanto derivativa. A convincere di meno sono gli sviluppi della storia – appesantita da snodi narrativi un po’ forzati – e il rapporto fra i personaggi, soprattutto a causa delle interpretazioni principali, troppo rigide o insicure per non indurre un senso di straniamento. L’impressione è che Il Ragazzo Invisibile: Seconda generazione voglia trarre giovamento dai meccanismi hollywoodiani, ma ci riesca solo in parte: se la ricerca di un’iconografia fumettistica è sensata e parzialmente riuscita, le ambizioni internazionali lo privano di un’identità forte, che altrove è invece ben più percepibile. Resta comunque uno sforzo produttivo da incoraggiare, nella speranza che la qualità della scrittura possa crescere insieme al protagonista.
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