In materia di bilanci sull’anno che sta per concludersi, estremamente significativa – oltre che, in larga parte, condivisibile – è stata la scelta dei Cahiers di Cinéma di assegnare alla nuova stagione di Twin Peaks il primo posto nella classifica dei migliori film del 2017. Certo, Twin Peaks non è un film… però è Cinema, quindi merita pienamente la vetta di quella lista: la sua natura magmatica prevede una commistione di generi e sperimentazioni che probabilmente non ha eguali nel panorama cinematografico degli ultimi 12 mesi, abbastanza da tributarle un simile onore.
Faccio questa premessa perché ammetto di essere stato tentato di seguire l’esempio dei Cahiers, ma alla fine ho optato per una top 10 più convenzionale, composta solo da lungometraggi ufficialmente distribuiti in Italia nel 2017. Ho quindi escluso i film passati solo nei festival (come i bellissimi First Reformed di Paul Schrader, La villa di Robert Guédiguian ed Ex Libris di Frederick Wiseman) e/o la cui uscita nelle sale italiane è stata fissata per il 2018 (come La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro e How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell). Partiamo dalle menzioni speciali, poi proseguiamo con la classifica vera e propria.
MENZIONI SPECIALI: Coco, Billy Lynn’s Long Halftime Walk, Wonder Wheel, Detroit, I simili, Une Vie, Gatta Cenerentola, Guardiani della Galassia: Vol. 2, Get Out, Wonder, Baby Driver, Thor: Ragnarok, The Void, La La Land, Manchester By the Sea, L’insulto, Silence, Loving.
Ed ecco la mia TOP 10:
Il titolo completo è Jim & Andy: The Great Beyond – The Story of Jim Carrey & Andy Kaufman Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton, e la sua lunghezza debordante rispecchia la natura complessa e stratificata di questo splendido documentario: Jim Carrey si confessa alla macchina da presa con esiti toccanti e spesso esilaranti, dimostrando quanto può essere sottile il confine tra Arte e Vita nel lavoro di un attore. Le riprese di backstage sul set di Man on the Moon sono una delle scoperte audiovisive più memorabili dell’anno.
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Il tramonto del supereroe, sofferto e inevitabile: Logan decostruisce il personaggio di Wolverine per azzerarne l’icona, riportandolo a un livello di disperata umanità che, come per qualunque uomo o donna di questo pianeta, può trovare sollievo soltanto nella consapevolezza del proprio retaggio. Ne deriva un western crepuscolare, tanto brutale quanto dolente, capace di sovvertire alcune regole non scritte del racconto supereroistico, che al cinema tardavano a scomparire. È la fine di un’epoca, certo, ma anche un precedente fondamentale nella rappresentazione di questi personaggi sul grande schermo.
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Ritratto elegante (ma non apologetico) di una donna sfaccettata e contraddittoria, Jackie dimostra che i biopic funzionano molto meglio quando non hanno la pretesa di compendiare una vita intera, ma si concentrano su un unico episodio che sintetizzi la realtà psicologica ed emotiva del personaggio. Pablo Larraín, formidabile costruttore di immagini, coglie Jackie Kennedy al termine del “sogno”, in un momento delicatissimo non solo per la sua vita privata (l’uccisione del marito), ma anche per il nuovo rapporto mediatico tra l’opinione pubblica e le istituzioni.
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Controverso e discusso, spesso criticato, Blade Runner 2049 è una sfida all’infantilizzazione dei blockbuster contemporanei, e anche un grande esempio – come il precedente Arrival – di fantascienza matura realizzata in seno a Hollywood. Una distopia monumentale che, obbligata a citare un’opera già fortemente citazionista come il primo Blade Runner, ne radicalizza il modello fino a denudarne i codici rappresentativi, trattenendo il più possibile l’azione (com’è abitudine di Denis Villeneuve, Sicario in primis). Temi vecchi e nuovi si alternano sullo schermo, mentre la mitologia del film si spalanca su orizzonti inediti.
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Ben lungi dall’essere solo il cliché di se stesso, il cinema di Terrence Malick continua imperterrito a viaggiare verso un orizzonte infinito, coreografando una danza di corpi innamorati che errano, ballano e interagiscono tra loro in una narrazione rarefatta. Song to Song è tutto questo e molto altro, ma è anche la celebrazione dell’amore come sentimento puro, spogliato dalle contaminazione dell’ironia e del post-moderno. Un torrente acustico e visuale di cui è difficile tenere il passo: l’unica soluzione, allora, è abbandonarsi al flusso e lasciarsi trascinare.
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Il talento di James Gray non è mai stato in discussione, ma Civiltà perduta espande le sue ambizioni e le proietta sul cuore tenebroso della società occidentale, funestato da un patetico complesso di superiorità verso le culture indigene dei paesi colonizzati, cui si accompagna un paternalismo fintamente progressista. Epico e intimo al tempo stesso, il film risale alle radici delle civiltà precolombiane attraverso l’esplorazione del Rio delle Amazzoni, dove la progressione spaziale corrisponde a un movimento temporale all’indietro, sempre più in là e sempre più a fondo, nella foresta amazzonica come nella psiche del protagonista.
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Nuova tappa nel percorso d’indagine sul tempo e sulla sua percezione soggettiva, Dunkirk è uno dei più grandi film di Christopher Nolan, cineasta il cui talento si affina di pari passo con le critiche dei suoi detrattori. Un’esperienza cinematografica avvolgente (soprattutto in IMAX e/o in 70mm) che parcellizza varie storie parallele in un mosaico da ricomporre, celebrando l’impresa titanica di Dunkerque – l’evacuazione dell’esercito alleato nelle prime fasi della Seconda Guerra Mondiale – attraverso un cast corale che incarna il massimo emblema della solidarietà umana.
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L’emblema della fantascienza matura nella Hollywood contemporanea, ma anche uno dei più grandi esempi di sci-fi progressista degli anni Duemila: Arrival è una riflessione sfaccettata sul dialogo inter-specie, sul confronto col “diverso” e sul linguaggio come base fondante dei nostri sistemi cognitivi. Attraverso una fantasiosa rilettura dell’Ipotesi di Sapir-Whorf, Denis Villeneuve e lo sceneggiatore Eric Heisserer scompongono il tessuto temporale nella psiche della protagonista, proponendo l’idea – bellissima – del linguaggio come “dono”. Una fantascienza contemplativa che guarda alle geometrie monumentali di Kubrick, ma anche alle sfumature emotive di Spielberg e Zemeckis.
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Il grande ritorno di Paul Verhoeven è anche la sua consacrazione definitiva, se ancora ce ne fosse bisogno. Retto interamente sulle spalle di una Isabelle Huppert straordinaria, Elle mette in scena la storia di una donna che rifiuta di rappresentare se stessa esclusivamente come vittima, e affronta con grande lucidità un intreccio scabroso di sesso e violenza, circondata da un clima grottesco che sfocia quasi nel surreale. Tutto ciò avviene sotto lo sguardo tagliente del regista olandese, abile a prendersi gioco della morale cattolica e del perbenismo borghese.
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Atto d’amore sul volto e sul corpo di Kristen Stewart, il bellissimo Personal Shopper è un enigma che esplora lo spazio fra la presenza e l’assenza, fra la carne (spesso sensuale) dei vivi e la trasparenza rarefatta degli spettri. Un mistero ipnotico, privo di risposte certe, dove il sensibile e il sovrasensibile s’intrecciano senza soluzione di continuità: il dialogo con l’aldilà genera mostri, anzi fantasmi, che si traducono nell’incapacità di elaborare il proprio lutto. Un’opera meravigliosa e affascinante, cui non basta un’unica visione per essere colta nella sua totalità.
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