La Storia dietro un Frame: l’Occhio del Terminator

La Storia dietro un Frame: l’Occhio del Terminator

Di Filippo Magnifico

I set dei film sono pieni di aneddoti più o meno interessanti. Alcuni sono noti, altri meno. I più belli sono senza ombra di dubbio quelli che ci permettono di scoprire la magia del Cinema.

È sempre interessante constatare come determinate scene, scolpite ormai nell’immaginario comune, siano state concepite quasi per caso. Partendo da un frame, da una semplice immagine, si possono scoprire storie interessantissime, in alcuni casi straordinarie.

Questo perché dietro il semplice fotogramma di una pellicola si può nascondere un mondo. Una cinepresa può immortalare la realtà e allo stesso tempo distorcerla, dando vita a momenti potentissimi che, in alcuni casi, sono stati realizzati in pochissimo tempo, con mezzi di fortuna. È questo il caso dell’Occhio del Terminator.

Proprio così, un titolo di fantozziana memoria (“l’occhio della madre!”) per rievocare il finale di Terminator, il capolavoro diretto negli anni ’80 dall’allora esordiente James Cameron. Un capitolo fondamentale della cinematografia cyberpunk, che ha consacrato un’icona come il T-800, l’implacabile cyborg interpretato da Arnold Schwarzenegger.

Avrete sicuramente visto il film e ricorderete il momento in cui Sarah Connor (Linda Hamilton) distrugge il letale robot sotto una pressa idraulica. La testa del Terminator che si deforma sotto il peso della pressa, la luce rossa del suo occhio che si affievolisce fino a scomparire del tutto. Tutto creato all’ultimo minuto!

Ma per capire meglio dobbiamo tornare indietro nel tempo, più precisamente nel 1984. Anno in cui un giovane cineasta con un grande futuro di fronte, James Cameron, aveva terminato la sua opera prima. Il film era pronto ma non del tutto, c’era bisogno di qualche ripresa aggiuntiva (a dimostrazione che quella dei cosiddetti “reshoot” è una prassi ben consolidata nella tradizione hollywoodiana) per rendere più chiari alcuni momenti della storia. Tra questi, appunto, la “morte” del cyborg.

Serviva un primo piano del Terminator schiacciato dalla pressa ma come realizzarlo? La produzione aveva ormai lasciato il set, i soldi erano praticamente finiti e non c’era tempo per costruire complicati effetti speciali. James Cameron, però, aveva le idee chiare e sapeva già di cosa aveva bisogno. La gavetta fatta come tecnico degli effetti speciali gli aveva insegnato che nessuna situazione è impossibile e con l’aiuto del fidato Stan Winston (un nome che resterà scolpito per sempre nella storia del Cinema) aveva deciso di girare la scena con del materiale di fortuna.

I due realizzarono la pressa con due blocchi di polistirolo, dipinti con una bomboletta di vernice spray color argento. Ricavarono una piccola sezione dell’occhio del Terminator, quella che si vede cadere, con altro polistirolo e fogli di allumino.

Ed ecco la scena, pronta per essere girata. L’abbiamo vista infinite volte: i due blocchi di polistirolo si avvicinano, schiacciano quella testa di allumino sottile. La luce di una lampadina rossa si spegne lentamente. Un sottile velo di fumo avvolge l’inquadratura e non è altro che il fumo di una sigaretta, soffiato fuori campo sulle parti in polistirolo.

Funziona perfettamente. È nel film. È stata realizzata con polistirolo e fogli di alluminio. È storia.

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