Mildred Hayes è una donna del Sud vecchio stampo, di quelle fiere, che parlano poco perché preferiscono le azioni alle parole. Dopo sette mesi di attesa perché giustizia venga fatta riguardo il barbaro assassinio di sua figlia, Mildred decide di sbugiardare l’operato della legge affiggendo su tre cartelloni stradali la sua rabbia contro il capo della polizia Willoughby. Da quel momento per lei e per gli abitanti di Ebbing, Missouri, ogni tregua viene a cessare…
Il terzo film di Martin McDonagh, dopo il gioiello In Bruges e il più squilibrato Sette Psicopatici, è un dramma sanguigno dove ci si ritrova a ridere molto più di quanto si dovrebbe, visto il tema principale. Il regista e sceneggiatore infatti riesce a condire quasi ogni scena con dei dialoghi gioiosamente sulfurei, spesso assurdi, sempre comunque capaci di esplicitare la profonda umanità dei personaggi. Non ci sono buoni o cattivi nel suo film, solo esseri umani perfettibili, che seguono i propri istinti quando invece dovrebbero ascoltare la ragione. McDonagh si focalizza sullo studio dei caratteri nella prima parte del suo lavoro, mentre passa a dipanare i twist della trama una volta che il pubblico si è affezionato (o meno) alle pedine di questa scacchiera emotiva. Senza ricercare una messa in scena invasiva rispetto alla storia e alla sua portata, il regista preferisce che siano gli attori a “riempire” Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, e questa si rivela la scelta più azzeccata poiché tutti, dai principali fino all’ultima comparsa, lo ripagano al meglio delle loro possibilità.
Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è Frances McDormand, in tutta la sua potenza espressiva, in tutta la sua energia irruente, in tutto il suo carisma inarrivabile. Dopo la straordinaria prova di qualche anno fa nella miniserie Olive Kitteridge l’attrice torna a interpretare una donna ruvida, appassionata, che reprime il proprio dolore a costo di esserne totalmente logorata. Un’interpretazione istrionica e poderosa, che sarà impossibile ignorare alle prossime nomination all’Oscar. Così come è troppo difficile non accomunare anche i comprimari in un lungo, sentito applauso: il redivivo Sam Rockwell, bravissimo nel personaggio più ambiguo del film; l’umanissimo Woody Harrelson, forse l’unica vera figura veramente positiva in questo puzzle di anime perse; soprattutto merita segnalazione John Hawkes, ormai sempre più efficace in ruoli di supporto e capace di passare dall’essere minaccioso a commovente nella stessa inquadratura.
Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è cinema principalmente di parola, uno di quei film dove si possono gustare dialoghi densi di significato e atmosfere cariche di emozione. McDonagh è uno sceneggiatore sopraffino, e il suo film rispecchia il suo gusto per la pratica della scrittura. Non un’opera innovativa o realmente “calda”, ma capace di ipnotizzare grazie a un lavoro sopraffino sulle psicologie e sulle caratterizzazioni. Quei tre cartelloni sono destinati a scrivere la storia di questa stagione cinematografica, partendo proprio dalla consacrazione a Venezia e Toronto. Noi facciamo sinceramente il tifo per la grande Frances e la sua squinternata banda di anime perse…
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