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I cinquant’anni di A piedi nudi nel parco sembrano riversarsi come un fiume nostalgico su Le nostre anime di notte, ricordandoci quanto il tempo levighi i caratteri e affini la sensibilità. Robert Redford e Jane Fonda restano però due icone fondamentali del nostro immaginario cinematografico, e l’adattamento del romanzo di Kent Haruf trova nei loro volti uno spessore che valica i limiti della diegesi per toccare la memoria collettiva di tutti noi, al punto che risulta quasi impossibile nascondere l’identità degli attori dietro quella dei personaggi. Il film di Ritesh Batra, prodotto da Netflix e presentato Fuori Concorso alla 74ma Mostra del Cinema di Venezia, è la reunion di due vecchi amici che non condividevano il grande schermo da trentotto anni (Il cavaliere elettrico è del 1978), ma non hanno perso l’alchimia che permette loro di emanare tenerezza, passione o imbarazzo a seconda delle circostanze. I loro personaggi, Louis Waters e Addie Moore, si avvicinano l’uno all’altra con discrezione, quasi sentendosi in colpa nel contesto culturale di una piccola cittadina – ma il discorso sarebbe ben più ampio – che guarda con sospetto agli amori di terza età, come se l’attrazione fisica, il coinvolgimento emotivo e l’erotismo fossero un’esclusiva giovanile. Così, quando Addie fa visita a Louis per proporgli di “dormire con lei” e riempire la loro solitudine, Louis resta spiazzato, ma non per questo meno incuriosito: entrambi sono vedovi, hanno vissuto per anni nello stesso quartiere senza quasi parlarsi, e la notte, se vissuta da soli, è sempre il momento peggiore. Inizialmente il rapporto è soltanto dialogico e confidenziale, ma cresce progressivamente verso un romanticismo silenzioso, arrivando addirittura a ricostruire un nucleo familiare con il nipotino di Addie, ospitato da lei mentre il padre cerca di sistemare la sua vita disastrata.
Si parlava di un fiume nostalgico, e infatti Le nostre anime di notte scorre al ritmo delle deliziose musiche di Elliot Goldenthal, ricche di una delicata malinconia che si riflette nei paesaggi del Colorado, nelle lunghe strade percorse in pick-up dai due amanti e nei piccoli momenti di vita quotidiana che coinvolgono Louis, Addie e il nipotino Jaime. Un cane prelevato dal canile, un trenino da montare, una partita di softball tra ragazzine, uno scambio di confidenze sul cuscino: il film si nutre di questi minuscoli frammenti narrativi, che avvicinano gradualmente i personaggi e colmano il vuoto lasciato nelle loro vite dai rispettivi partner (o, nel caso di Jaime, dai genitori). È una fuga dalla noia, dalla solitudine, dalla stasi esistenziale in cui entrambi rischiano di essere confinati, mentre i loro figli si dibattono tra nevrosi e tormenti personali. Tutto questo sfocia in un melò delicato, giocato per sottrazione, dove i sentimenti non vengono mai “urlati” od ostentati: non a caso, le interpretazioni di Robert Redford e Jane Fonda sono pacate ed eleganti, dialogano per mezze parole e coagulano le emozioni in una mimica facciale estremamente controllata, come se i loro personaggi temessero di esprimerle liberamente.
C’è una frase che riassume accuratamente il rapporto fra Louis e Addie, pronunciata da lui al termine di una cena: «Che cosa voglio? Quello che voglio è vivere la mia giornata e poi venire da te a raccontartela, la sera». Certo, i toni di A piedi nudi nel parco sono ben diversi, ma è impossibile non pensare ai protagonisti di Le nostre anime di notte come alla versione ormai matura di Paul e Corie Bratter, stanchi delle vecchie stravaganze e assestati sul tranquillo, beato piacere della compagnia reciproca. Ciò che ne deriva è un film dolcissimo, genuino e mai ricattatorio, con una purezza che non sempre i melodrammi riescono ad avere; ma è anche la celebrazione di una coppia iconica, in grado di esprimere complicità ed empatia sia con i silenzi sia con le parole.
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