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Last Flag Flying: Richard Linklater ci regala un film d’altri tempi, la recensione #NYFF55

Pubblicato il 30 settembre 2017 di Redazione

Recensione a cura di Adriano Ercolani

Anche se ambientato nell’inverno del 2003 il nuovo film di Richard Linklater ha molto dello spirito sovversivo degli anni ‘70. Probabilmente perché Last Flag Flying è un seguito “ideale” di uno dei cult movie di quel decennio, L’ultima corvè. L’autore romanzo da cui il film di Hal Ashby era tratto, Darryl Ponicsan, ha ripreso i tre personaggi dell’originale e attraverso la loro riunione ha raccontato l’America del post 11 Settembre, più di preciso quella dell’invasione all’Iraq, probabilmente l’ultimo vero momento in cui il popolo americano avrebbe potuto (e dovuto) ribellarsi contro l’assurdità di un conflitto basato su esclusive ragioni economiche.

Ed ecco allora che i tre protagonisti, reduci della Guerra del Vietnam, sono tre autentici anti-eroi, senza neppure esserne coscienti. Sono tre ribelli semplicemente perché a modo loro hanno rifiutato di omologarsi a uno status quo che impone passiva accettazione. Sal (Bryan Cranston) è un ubriacone dall’eloquio troppo facile, Richard Mueller (Laurence Fishburne) ha intrapreso la strada che porta a Dio tornato dal conflitto, mentre Larry “Doc” Sheperd (Steve Carell) è quello dei tre che sta ancora veramente cercando la maniera di dire “no”. Lo farà nel corso del film, rifiutandosi di seppellire suo figlio con l’uniforme di quell’esercito che lo ha portato a morire senza motivo.

Last Flag Flying è un film vero, come tutti o quasi quelli realizzati da Linklater. Nelle psicologie messe in scena ci si riconosce, soprattutto nelle loro debolezze quotidiane, quelle di chi ha lottato ed è stato sconfitto, ma almeno non si è arreso. La verità che il cineasta ormai sembra ricercare costantemente porta spesso anche a rallentamenti del ritmo, pause nella narrazione, dialoghi magari anche già ascoltati. Ma è proprio nella sua imperfezione che Last Flag Flying appare maggiormente onesto, non costruito per andare incontro alle esigenze del pubblico ma desideroso di costringerlo invece ad ascoltare i propri protagonisti, a “sentirli” in tutta la loro umanità. Cranston, Carell e Fishburne si rivelano portentosi nel tratteggiare le differenti personalità e poi accostarle in un quadro umano di grande vitalità. Il dolore, la voglia di evasione, l’orgoglio e il senso di appartenenza che questi tre uomini sprigionano nelle varie scene del film sono veramente contagiosi. Linklater sceglie come sempre di raccontarli senza fastidiose sottolineature di messa in scena, lasciando che siano le situazioni e i dialoghi a esprimere le idee del film invece della macchina da presa. Un approccio ancora una volta indiscutibilmente sensato.

È quasi un film d’altri tempi Last Flag Flying, e forse vuole veramente esserlo. Il suo intento è quello di ricordarci che ci si può ancora ribellare all’ordine costituito anche semplicemente ponendosi ai suoi margini, mantenendo però la dignità e l’unicità di cui siamo fatti. Per questo, se non per (molto) altro, il film di Linklater merita di essere amato.

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