Il “tratto da una storia vera” viene utilizzato molto spesso nel cinema horror (e non solo). Sapere che quello che stiamo vedendo sul grande schermo è realmente accaduto può aumentare l’immedesimazione, è un espediente narrativo utile per creare maggiore interesse nel pubblico.
Jukai – La foresta dei suicidi (titolo originale The Forest) non è ispirato ad una storia vera ma il luogo che fa da scenario al film esiste realmente ed è sinistramente famoso in tutto il mondo (il “tratto da una storia vera” diventa “ambientato in un luogo vero”, quindi). Si tratta di Aokigahara, conosciuta come la Foresta dei Suicidi, appunto. Si trova in Giappone, alla base nord-occidentale del Monte Fuji, e ha raggiunto la fama per l’alto tasso di suicidi che ogni anno vengono commessi al suo interno. Un luogo misterioso, inquietante ma soprattutto reale, che stranamente non ha mai ricevuto la dovuta attenzione dal mondo della settima arte.
Pochi film hanno portato sul grande schermo Aokigahara: nel 2013 Grave Halloween; nel 2015 La foresta dei sogni di Gus Van Sant; e ora il film diretto da Jason Zada, che per il suo esordio al lungometraggio ha deciso di coinvolgere Natalie Dormer, famosa per il ruolo di Margaery Tyrell nella serie cult Game of Thrones.
La storia è quella di Sara, una giovane donna che decide di correre in Giappone per trovare la sorella gemella scomparsa proprio in quel luogo maledetto. Un viaggio che, ovviamente, si rivela disseminato di orrori, molti per la protagonista ma tutto sommato pochi per gli spettatori. Jukai – La foresta dei suicidi delude su più livelli. Delude per un plot sconclusionato, pieno di forzature e caratterizzato da una storia mai approfondita a dovere. Delude perché si affida principalmente ai jumpscare nonostante l’ambientazione offra la possibilità di giocare con l’atmosfera.
Jason Zada ci regala qualche genuino momento all’insegna del terrore, è vero, ma questo non basta per sollevare il film dalla mediocrità che lo contraddistingue lungo tutto il percorso. Perché se da un lato è vero che i momenti di tensione funzionano se presi singolarmente, dall’altro non si può fare a meno di notare l’incoerenza dell’insieme, che si presenta come una serie di spaventi quasi mai utili a livello narrativo, messi qua e là in una storia sconclusionata e priva di mordente.
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