Cinema Noi fan dell'horror Recensioni
Recensione a cura di Adriano Ercolani, New York
Partiamo immediatamente dalla constatazione più importante: l’anima del capolavoro letterario di Stephen King è ben presente nella trasposizione cinematografica di Andy Muschietti.
Ovviamente del libro non c’è tutto (poteva essere altrimenti?) ma c’è davvero molto, in particolar modo le emozioni legate all’essere un bambino e dover affrontare l’orrore con l’innocenza di quell’età. Prima ancora di essere un horror il testo originale era una riflessione sull’infanzia e le sue contraddizioni, e il film ripropone tale visione in tutta la sua potenza emotiva. I giovani protagonisti sono gli unici innocenti in un universo in cui l’età adulta rappresenta disillusione e rancore, insomma il lato oscuro dell’essere umano. Pennywise in questo senso diventa espressione orrenda di un mondo già corrotto, impossibile da salvare. La sceneggiatura del film, lavorando in profondità nel raccontare il senso di appartenenza e disperazione che Bill, Beverly e gli altri Losers sviluppano nel loro confronto con il Male che si annida a Derry, si dimostra fin da subito molto efficace nel dipingere ritratti umani capaci di rimanere impressi nella memoria, così come le figure inventate da Stephen King.
A livello visivo IT spaventa, in alcune scene anche parecchio, soprattutto se paragonato all’estetica del cinema horror contemporaneo che tende troppo spesso a edulcorare le immagini per renderle accessibili al pubblico più giovane. Nel film di Muschietti ciò accade in qualche momento, ma molto meno di quanto avrebbe potuto essere. Per il resto l’orrore è invece pulsante, atavico e sanguinolento. A livello narrativo la storia non segue pedissequamente gli eventi narrati dal romanzo, ci sono dei cambiamenti necessari per rendere la trama più compatta, al fine di stringere la materia in un racconto di due ore. Quello che è stato sacrificato maggiormente è il senso di immanenza dell’entità malefica che Pennywise personifica, e se anche comunque terrificante alla fine il pagliaccio assassino risulta un qualcosa di più ”piccolo” rispetto al male lovecraftiano creato da King. Per il resto però ogni modifica alla storia è pienamente funzionale allo sviluppo della vicenda, e non inficia quindi il risultato del film.
In un cast di attori molto efficace vogliamo segnalare due interpretazioni: prima di tutto quella di Bill Skarsgård nei panni di Pennywise, resa preziosa da un notevole lavoro sulla modulazione della voce e sulla fisicità inquietante del personaggio. Il clown in molte scene riesce a spaventare anche soltanto con la postura del corpo, e di questo va dato merito al lavoro dell’attore e di Muschietti nella preparazione del personaggio. L’altra vera sorpresa di IT è la giovane Sophia Lillis, che in virtù di una presenza scenica fresca e credibile riempie il personaggio di Beverly Marsh regalando al pubblico una gamma di emozioni potenti. È lei alla fine quella a rimanere più impressa nel gruppo di protagonisti, insieme anche al dolce e saggio Ben Hansom interpretato da Jeremy Ray Taylor.
A conti fatti IT di Andy Muschietti è una trasposizione molto lucida e sentita di un romanzo quasi impossibile da portare al cinema in tutta la sua forza narrativa. Lavorando sul fulcro primario del testo di King, quello emotivo, il regista ha costruito un film sia fedele che perfettamente capace di muoversi da solo. Il risultato finale dell’operazione convince quasi senza riserve, ma cosa ancor più importante appassiona. Si deve aver letto il libro di King per apprezzare pienamente il lungometraggio? Probabilmente no. Magari però una volta amato il film tornate anche al testo originale. Vi possiamo garantire che non ve ne pentirete…
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