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Denis Villeneuve parla con la voce pacata e tranquilla di chi sa trasmettere grande calma sul set di un film, soprattutto in una produzione grandiosa come Blade Runner 2049. D’altra parte, la strada che lo ha portato al cospetto di uno dei sequel più controversi di Hollywood è stata lunga: nell’arco di quasi un ventennio, il regista canadese è passato dai ritratti femminili tormentati e surreali (Un 32 août sur terre, Maelström ) alle riflessioni intimiste sulle tragedie della storia recente (Polytechnique, La donna che canta), per poi avvicinarsi progressivamente ai generi e al cinema fantastico nei suoi recenti film anglofoni (Enemy, Prisoners, Sicario, Arrival).
Blade Runner 2049 è il coronamento di un percorso autoriale che Villeneuve non ha mai tradito, nemmeno nelle produzioni hollywoodiane, e che ora lo mette definitivamente alla prova con un progetto delicatissimo, puntato al cuore del nostro immaginario collettivo. In trasferta romana con l’attrice Sylvia Hoeks per presentare il film alla stampa, il talentuoso cineasta ha rivelato l’importanza del primo Blade Runner nella sua vita:
Ho visto Blade Runner proprio nel periodo in cui cominciavo a pensare di diventare un regista. Ero un geek della fantascienza, e cercavo una visione matura del futuro, ma all’epoca non ce n’erano molte [al cinema]. È un film che ha avuto un forte impatto su di me.
Un effetto piuttosto comune: anche l’olandese Sylvia Hoeks, nota per la sua partecipazione a La migliore offerta di Tornatore, lo ricorda in questi termini.
Per noi [olandesi] è stato importante perché Roy Batty era interpretato da Rutger Hauer, un patrimonio nazionale. Non sono riuscita a dormire dopo averlo visto, pensavo continuamente: “E se accadesse davvero…?”.
La prospettiva di un futuro cupo ed ecologicamente disastrato come quello di Blade Runner è effettivamente spaventosa, ma lo stesso discorso vale anche per i replicanti, figure dotate di una profonda malinconia esistenziale che mettono in discussione le nostre certezze sulla natura umana. Villeneuve ha fornito una definizione di questi androidi:
I replicanti sono esseri artificiali, sintetici, progettati per essere sfruttati come schiavi nella colonizzazione di altri pianeti, la maggior parte dei quali sono al di fuori del nostro sistema solare. Molti di quelli che possono viaggiare nello spazio desiderano vivere su tali pianeti, e i replicanti li rendono accoglienti. Ma è come un romanzo alla Frankenstein, perché questi replicanti hanno comportamenti particolari, e inoltre sono vietati dalla legge. La cosa bella è che sono molto simili agli umani, e c’è bisogno di una squadra speciale della polizia che li ritiri.
In effetti, il 2049 del sequel presenterà alcune differenze rispetto al 2019 del film originale. Ancora il regista:
Il fatto è che chi conosce il primo film troverà un mondo un po’ diverso. Questo sequel mostra come le cose non siano andate per il verso giusto, il clima si è evoluto in maniera disastrosa, e chi sopravvive lo fa in condizioni terribili. L’oceano si è alzato, e la città si è dovuta proteggere con un muro.
La sceneggiatura ha inoltre trovato un espediente per spazzare via tutti i dati digitali, riportando le indagini dell’Agente K (Ryan Gosling) alla fisicità materica dei vecchi noir:
Internet non è una bella cosa per noi sceneggiatori, perché non c’è nulla di più noioso di vedere un poliziotto seduto alla scrivania che cerca indizi al computer… quindi abbiamo immaginato che un impulso elettromagnetico abbia causato il blackout generale distruggendo tutti i dati telematici. Di conseguenza, è impossibile affidarsi agli archivi digitali. Credo che questo ci faccia riflettere sulla fragilità del mondo digitale. Mi piace l’idea che il mio protagonista abbia bisogno di sporcarsi le mani e incontrare le persone, nel corso delle sue indagini.
A tal proposito, Gosling è sempre stato nei pensieri di Ridley Scott come protagonista di Blade Runner 2049:
Ridley Scott ha pensato fin dall’inizio a Gosling come protagonista, e mi ha presentato la sceneggiatura con questo suggerimento. Ho trovato che il copione fosse fantastico, e che il personaggio fosse perfetto per lui… nessun altro avrebbe potuto interpretarlo. Quindi l’ho chiamato, e lui ha letto lo script. Non aveva mai fatto un film di questa portata, ma si è innamorato della sceneggiatura. Non ho avuto difficoltà a convincerlo, ha accettato spontaneamente. Si è ispirato moltissimo al primo Blade Runner e al personaggio di Deckard. Il suo lavoro però è più complesso, anche se il personaggio è ammantato dalla stessa solitudine. Si tratta sempre di un thriller esistenziale che esplora varie tematiche di quel genere, ma non posso parlarne troppo per non rovinare la sorpresa.
Villeneuve ha elogiato il talento di Ryan Gosling:
Amo gli attori che non “fanno” gli attori, ma che invece “sono” il personaggio, lo incarnano. Un attore come Clint Eastwood, ad esempio, sa imporsi con la sua presenza anche senza muoversi: ha il carisma necessario per realizzare questo obiettivo, come anche Harrison Ford. Al contempo, esprime sfumature emotive in maniera particolare. Perché Ryan Gosling? Perché è un artista straordinario. È presente in ogni singola inquadratura, e il film pesa sulle sue spalle. Ho scelto personalmente tutte le comparse, perché – come in un film in costume – non tutti i volti sono adatti per l’epoca che raccontiamo, ma Gosling appartiene pienamente a questo mondo futuristico.
Dal canto suo, Sylvia Hoeks è ovviamente molto felice di aver lavorato in un film del genere:
Non posso parlarne tanto, ma il mio personaggio si chiama Luv, lavora per Niander Wallace [il costruttore di androidi interpretato da Jared Leto, ndr] ed è il suo braccio destro. Hanno un rapporto molto complesso e intenso. La ricerca d’identità è ciò che caratterizza il mio personaggio. È come una Audrey Hepburn sotto acidi? Sì, giusta osservazione!
Fra l’altro, rispetto al primo film, questo sequel concede maggior spazio ai personaggi femminili, che hanno sempre avuto un ruolo centrale nel cinema di Denis Villeneuve. L’attrice olandese si è soffermata anche su questo aspetto:
Certamente uno degli aspetti che possono attirare l’attenzione è proprio la maggior presenza di personaggi femminili, che aggiungono qualche sfumatura in più. Sono tutte donne molto forti. Ho avuto il privilegio di lavorare con Robin Wright, e mi ha colpito che fosse così gentile. La prima scena che ho girato è stata proprio con lei. Nel mio ruolo sono stata fortunata, perché ho potuto esplorare un’ampia gamma di caratteristiche: la ragazza della porta accanto, la saggezza, la satira. È il ruolo più divertente che abbia mai interpretato.
Tornando a Villeneuve, il suo talento visivo si è dovuto confrontare con un precedente ingombrante come il primo Blade Runner, ma ha avuto la possibilità di lavorare sulla palette cromatica con un grande direttore della fotografia come Roger Deakins (Fargo, Il grande Lebowski, The Reader, Skyfall):
Sul piano estetico, Blade Runner è una pietra miliare per il modo in cui Ridley Scott ha usato la luce, creando atmosfere nebbiose. Io e Roger Deakins volevamo che le radici del sequel affondassero nel film originale, doveva svolgersi nello stesso “quartiere” e nello stesso ambiente del primo. Le cose, in questo futuro, sono semplicemente peggiorate. Il clima è più freddo, un fatto che per me è stato di grande ispirazione, in quanto canadese. La qualità della luce è una cosa che mi ispira sempre molto: che tipo di alfabeto cromatico uso? Questo nuovo film ha momenti molto scuri, ma anche altri più argentei e bianchi, basati sulla luce del nord. La palette cromatica trae ispirazione dall’inverno. È raro, per un cineasta, avere il controllo totale, ma questo mi ha permesso di insierire piccoli indizi nei colori che possono essere seguiti dal pubblico: il giallo, ad esempio, è un collegamento alla mia infanzia. Abbiamo fatto evolvere la palette in un modo molto specifico.
La costruzione di questo mondo, peraltro, si affida il più possibile ai set, con poca CGI:
Quando fai un film futuristico e devi creare un mondo, la CGI è molto importante, ma una delle mie prime decisioni è stata quella di costruire tutti i set: è stata la prima cosa che tutti gli attori mi hanno chiesto, e li ho rassicurati che avremmo costruito tutto. Abbiamo avuto il privilegio e il budget di creare tutti i set, compresi i veicoli. Se oltre la finestra di un appartamento si doveva vedere il paesaggio esterno, noi lo abbiamo costruito. Volevo tornare a un cinema dove si “gioca” con cose vere, in modo che gli attori potessero focalizzarsi sulla loro interiorità e sulle relazioni, senza dover immaginare cosa c’era attorno a loro. Così facendo, si sono potuti concentrare sui loro personaggi, partecipando al processo creativo. Quando gli attori propongono le loro idee, c’è una scintilla che s’innesca davanti alla macchina da presa. Certo, ci sono piccoli elementi sullo sfondo per cui abbiamo usato la CGI. Sul film hanno lavorato grandi artisti.
Naturalmente il regista ha avvertito il peso della responsabilità:
Non ho accettato il lavoro con leggerezza, ho impiegato settimane per dire sì. Mi sono dovuto assicurare di essere in grado di portare questa storia sullo schermo, e ho dovuto fare pace con l’idea che non avrei saputo come avreste recepito il film. Si svolge nello stesso mondo, ma è un film diverso. Quando si fa il sequel di un capolavoro, le speranze di successo sono molto basse. L’ho fatto per amore del cinema, accettando l’idea che ci fosse un grande rischio. Con una certa arroganza, dirò che credo sia il mio film migliore.
D’altra parte, Villeneuve sapeva chiaramente quali caratteristiche fossero indispensabili per il “marchio” di Blade Runner:
La malinconia: è una qualità molto importante per un film di Blade Runner. E molto fumo [ride]. Dev’essere un’intima esplorazione della condizione umana, con forti elementi thriller. Una cosa che i due film hanno in comune è il sound design: nel primo è stato una pietra miliare, ha contribuito a creare un’atmosfera impressionista, insieme alla musica.
Invece, per quanto riguarda la sua recente transizione al cinema di fantascienza, il regista canadese ha rievocato la sua formazione giovanile:
Arrival e Blade Runner 2049 hanno in comune il viaggio umano. Fin da giovane sono sempre stato attratto dalla fantascienza, con i romanzi di Jules Verne e Frank Herbert, ma anche le opere di fumettisti belgi o francesi come Moebius. Ero molto interessato anche alla scienza, alla microbiologia e all’idea di esplorare l’ignoto: la fantascienza mi permetteva di fare proprio questo.
Il regista ha infine citato la sua ammirazione per Christopher Nolan, capace di rilanciare la grande fantascienza d’autore in ambito hollywoodiano. Villeneuve s’inserisce nel medesimo solco, e Blade Runner 2049 – in attesa di scoprire cosa farà con Dune – è indubbiamente il suo sforzo più ambizioso.
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