Recensione a cura di Adriano Ercolani
La solida collaborazione con Peter Jackson, che gli ha affidato la regia della seconda unità della trilogia de Lo Hobbit, deve aver fatto imparare molto ad Andy Serkis su come sedere dietro la macchina da presa. Il suo esordio “ufficiale” Breathe è infatti un film visivamente molto curato, a tratti davvero splendido da guardare soprattutto nelle scene ambientate in Africa. Grazie anche alla fotografia del grande Robert Richardson alcuni colori del tramonto e un paio di visioni aeree del continente sono destinate a rimanere impresse nella memoria del pubblico. Ma Breathe non è soltanto fatto di belle immagini, tutt’altro: il biopic dedicato a Robin Cavendish, che nel 1959 rimase completamente paralizzato a causa della poliomielite ma lottò a tutti i costi per avere una vita comunque piena e felice, rappresenta per molti tratti un commovente inno alla vita e alle sue mille sfaccettature.
La forza emotiva del film sta certamente nel protagonista, efficacemente interpretato da Andrew Garfield, ma ancor più nel personaggio della volitiva e dolcissima moglie Diana, che nel film ha il volto e la grande competenza attoriale di Claire Foy. La sceneggiatura di William Nicholson, esperto di melodrammi in costume, costruisce una progressione narrativa densa di sentimenti, che permette allo spettatore di partecipare insieme ai personaggi l’ottimismo e la celebrazione della vita stessa che Cavendish abbracciò in pieno una volta accettatala sua disabilità. Breathe in più di un momento si rivela anche capace di far sorridere lo spettatore con il più tipico umorismo all’inglese. Quando poi nella parte finale del film si affronta anche il discorso più complesso della libertà di scegliere di terminare le proprie sofferenze, allora Serkis riesce quasi del tutto a evitare la retorica legata a questo argomento e, cosa ancora più importante, il sentimentalismo mieloso o pietistico.
Pur non cercando mai soluzioni visive o narrative originali Breathe merita di essere apprezzato per la sua idea di cinema solida, oseremmo dire “classica”. Andy Serkis dimostra di avere a cuore la storia di Cavendish e di volerla raccontare usando tutti i mezzi che il cinema gli mette a disposizione. L’intento gli riesce anche in virtù di un cast tecnico e di attori fidati e capaci. Alla fine Breathe arriva al cuore dello spettatore, centrando l’obiettivo che il regista si era evidentemente fissato.
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