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Castlevania, recensione: l’eterna lotta tra i Belmont e Dracula finalmente su Netflix

Pubblicato il 14 luglio 2017 di Marco Lucio Papaleo

Dopo aver “depredato” letteratura e fumetti, cinema e tv hanno guardato con interesse (e un po’ di sana diffidenza) all’universo dei videogiochi, industria dal successo esponenziale e ricca di storie a cui attingere. I risultati, purtroppo, sono stati perlopiù mediocri, per una serie di fattori spesso sottovalutati dai produttori, come la mancata fedeltà al “feeling” dei titoli originali e il piazzamento presso fasce di pubblico errate.
Dopo essere rimasti scottati così tante volte, oramai, attendiamo i prodotti tratti dal mondo del gaming con tiepido interesse, sperando che qualcosa ci scuota dal torpore in cui queste trasposizioni ci hanno calato. Ebbene, l’arrivo di Castlevania su Netflix è un’ottima occasione per un passo avanti, seppur incerto.

Partiamo dall’inizio: Castlevania è un franchise videoludico che ha avuto inizio più di trent’anni fa, in Giappone, ad opera di Konami, una delle più importanti softhouse nipponiche (PES, Metal Gear, Silent Hill, solo per citare alcuni bestseller) che nel 1986 lancia un affascinante platform di ispirazione horror prendendo spunto dai classici del cinema dei mostri Universal e Hammer, mixandolo con il folklore dell’Est Europa, così lontano (e quindi così esotico) per il pubblico orientale. Il risultato è l’inizio di un franchise leggendario, che ha goduto nel corso degli anni di decine di iterazioni per quasi ogni console esistente. Il tutto squisitamente in continuity, ad eccezione del “reboot” avuto su PlayStation 3 pochi anni fa. L’epopea dei Belmont, casata di cacciatori di demoni e mostri fin dall’antichità, è stata portata avanti con un racconto generazionale avvincente ed evocativo fin dall’inizio, pur con tutte le limitazioni del Nintendo NES a 8 bit su cui tutto è cominciato.

Anche essendo un brand affermato e storico, negli ultimi anni la notorietà di Castlevania era scesa, in mancanza di titoli forti e di grande successo come furono, ad esempio, Rondo of Blood o Symphony of the Night all’epoca della loro uscita, negli anni ’90. Per rivitalizzare il franchise un film sarebbe stato l’ideale, e per più di un decennio Konami ha tentato di realizzarlo inseguendo varie soluzioni, come un film d’animazione o un live action per il grande schermo, inizialmente affidato al Paul W. S. Anderson a cui dobbiamo i Resident Evil con Milla Jovovich. A salvare il progetto sono giunti il produttore Adi Shankar e Netflix, pianificando il tutto nel format della (mini)serie animata: quattro puntate, per cominciare e porre le basi di qualcosa che potrebbe segnare un’inversione di marcia.

Anno Domini 1455: la Valacchia è una regione povera, in tumulto, dove la gente sopravvive a stento al rigore degli inverni, alle malattie, ai soprusi dei potenti, e trova conforto unicamente nella religione, opportunamente manipolata da una classe clericale avida e boriosa. Il confine tra scienza, magia e superstizione è assai labile e ogni tentativo di innalzare l’uomo tramite la ricerca della verità è mortificato da un oscurantismo che mette alla stessa stregua medicina e stregoneria. In questo contesto si muove Lisa, giovane illuminata mossa dal sincero desiderio di aiutare la sua gente. In cerca di nuove conoscenze mediche, armata di grande coraggio, buone intenzioni e vivace parlantina, la donna si introduce nella inquietante dimora del temibile Vlad Dracula Tepes, detto “L’impalatore”… Dall’incontro tra i due arriverà, anni più tardi, l’inevitabile condanna al rogo di Lisa per stregoneria: sarà una condanna per la Valacchia stessa, che da quel giorno in poi vedrà scendere su di essa l’ira invereconda di Dracula. L’unico in grado di combattere le sue orde infernali, vent’anni dopo, sarà l’ultimo discendente della famiglia di cacciatori di demoni Belmont, Trevor: un riluttante guerriero, scomunicato dalla stessa Chiesa, che dovrà tenere alto l’onore della sua casata.

Castlevania, nella sua versione animata, si prende la libertà di prenderla un po’ alla lontana e andare quasi alle origini della sua mitologia: trama e personaggi, difatti, attingono principalmente a Castlevania III: Dracula’s Curse, bel prequel per NES del 1989 (arrivato con un certo ritardo in occidente) in cui si narrano le gesta del coraggioso sterminatore di vampiri Trevor, della determinata maga Sypha, dello scaltro pirata Grant e del tormentato dhamphyr Alucard, in eterna lotta con suo padre Dracula. Lo script, ad opera del noto fumettista e sceneggiatore Warren Ellis, attinge a piene mani dal suo primo trattamento per la serie (di cui abbiamo parlato poco più sopra) riadattandolo alla dinamica delle quattro puntate previste per Netflix.
Si tratta sicuramente di una sceneggiatura ben scritta e nelle corde del produttore Adi Shankar (a cui dobbiamo cose come il cult direct-to-video su Dredd e The Grey con Liam Neeson), che combina, senza stravolgimenti inutili, gli elementi tratti dalla trama originale dei giochi in un contesto di maggior respiro e caratterizzazione, senza fare sconti sulla violenza o sulle tematiche, di certo non fanciullesche. Al di là dell’azione e dell’horror spicciolo, difatti, l’attenzione è rivolta in primis a creare personaggi poco stereotipati, con solide motivazioni alle spalle, e un contesto interessante in cui farli muovere. Contesto che dimostra, inoltre, la profonda comprensione delle basi originali, qui portata a un altro livello. Dracula, ad esempio, non è il solito “Signore del Male” assetato di potere: è una Creatura della notte dai terribili e maledetti poteri la cui ira e il cui ritorno vengono favoriti dalla stessa umanità ottusa e superstiziosa che lo osteggia.

Certo, non tutto è rose e fiori: dopo un episodio iniziale molto intenso ne seguono due centrali decisamente meno incisivi e in cui si dà fin troppo spazio a personaggi marginali, arrivando infine a un quarto episodio (il “finale” di stagione) ricchissimo e bilanciato, perfettamente centrato nelle tematiche e caratterizzato da ottimi dialoghi. E poi, proprio sul più bello, finite le “presentazioni” dei personaggi principali, la serie si interrompe: la vera lotta contro le forze di Dracula è rimandata alla seconda stagione, per fortuna già confermata e con un numero di episodi raddoppiato (otto anziché quattro).
Appare evidente, dunque, la natura sperimentale di questo “finto anime” (la produzione è americana, così come i realizzatori, anche se parte dello staff è sud coreano): data la risposta generalmente positiva, tuttavia, è lecito sperare in un maggior investimento di risorse a disposizione del regista Sam Deats, per animazioni migliori e un character design e delle dinamiche non solo “ispirate” a quelle dei lavori della Mad House e alle illustrazioni di Ayami Kojima, ma allo stesso livello: del resto, con le musiche siamo già a un livello più che discreto, grazie al lavoro del bravo Trevor Morris.

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