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Twin Peaks – Parte 5: «The cow jumped over the moon»

Pubblicato il 06 giugno 2017 di Lorenzo Pedrazzi

Lungo e impervio è il cammino dell’agente Dale Cooper (Kyle MacLachlan) per tornare a Twin Peaks. Il quinto episodio sembra riconnettere la serie a una narrazione più “terrena”, meno allucinata, lontana dagli oscuri deliri della Loggia Nera, ma ovviamente l’apparenza inganna: David Lynch, infatti, parcellizza ulteriormente la trama fino a raggiungere l’astrazione, dilatandola a tal punto da sfondare i limiti del “reale” e rendere sempre più sfumata la differenza tra questo mondo e le sue dimensioni parallele.

Questo risulta evidente fin dall’inizio, quando il racconto introduce una misteriosa donna (Tammie Baird) che ha ingaggiato due uomini per uccidere Dougie, e che tenta di comunicare con un cercapersone collocato a Buenos Aires. La capitale argentina è anche il luogo dove sparì Phillip Jeffries (il personaggio di David Bowie in Fuoco cammina con me), poi riapparso nel quartier generale dell’FBI davanti a Gordon Cole (David Lynch) per riferirgli di alcuni eventi sconosciuti: considerando i legami tra Jeffries e Dark Cooper, questo dettaglio conferma che Fuoco cammina con me è un riferimento fondamentale per la trama della nuova serie, come lo stesso Lynch ha dichiarato tempo fa, anche se per il momento le informazioni sono molto criptiche. Altrettanto ambigua è la situazione di Cooper / Dougie, in stato semi-catatonico dopo il suo ritorno dalla Loggia Nera: il passaggio fra le due dimensioni è stato simile a una rinascita, quindi Cooper deve ripartire da capo, imparando nuovamente quel senso comune che ci guida ogni giorno. Sua moglie Janey-E (Naomi Watts) e l’affascinante collega Rhonda (Elena Satine) lo guidano passo per passo anche nelle mansioni più basilari, quali salire sull’auto ed entrare nel bagno per orinare, esattamente come si farebbe con un bambino. È soprattutto in tali segmenti che emerge quella “ironia del banale” di cui parlava David Foster Wallace nella sua definizione di lynchiano, poiché le buffe disavventure di Cooper / Dougie sono calate nella disarmante quotidianità di una vita “normale” che mostra così il suo lato assurdo, surreale, ridicolo: nel rifiutare (inconsciamente) le convenzioni del senso comune, Cooper ne smaschera l’artificiosità, rende visibile il nonsense di quelle regole sociali che strutturano una famiglia, un luogo di lavoro o altri contesti. La visione di un uomo adulto che fa la danza della pipì in mezzo a un corridoio, o che si attacca alla tazza di caffè come farebbe un neonato con il biberon, o ancora la sua incapacità di muoversi nello spazio e di cogliere le allusioni sessuali della collega, insomma, tutto questo non solo scardina le norme sociali consolidate, ma estremizza la figura di Cooper come novello Candide, araldo involontario di uno sguardo più genuino. Non a caso, è lui a dare del bugiardo al viscido Anthony Sinclair (Tom Sizemore) durante una riunione di lavoro, rara circostanza in cui Cooper / Dougie prende un’iniziativa personale.

Poiché Twin Peaks crea il suo tempo e il suo spazio all’interno di un universo narrativo che basta a se stesso, Lynch può ramificare la narrazione all’infinito, spesso affidandone gli snodi importanti alle sequenze più fugaci: nel giro di poche inquadrature, ad esempio, scopriamo che il cadavere senza testa contiene la fede nuziale di Dougie, con tanto di incisione firmata da sua moglie; e che le impronte digitali corrispondono a quelle del maggiore Garland Briggs (Don S. Davis), dato per morto in un incendio di venticinque anni prima, dopo aver incontrato Dark Cooper. Il colonnello Davis (Ernie Hudson) invia il tenente Knox (Adele René) a Buckhorn per indagare, ma è la sedicesima volta che ricevono una segnalazione di quel tipo, quindi entrambi accolgono la notizia con un certo disincanto. Qualcosa di molto interessante, però, succede anche a Twin Peaks, dove il dottor Jacoby (Russ Tamblyn) conduce un podcast di teorie cospiratorie, seguito con interesse da Jerry Horne (David Patrick Kelly) e Nadine Hurley (Wendy Robie). Il crescendo del suo monologo è delirante, soprattutto quando sfocia nell’improbabile televendita delle famose vanghe che gli abbiamo visto dipingere d’oro negli scorsi episodi, il cui scopo è ora ben chiaro: «Shovel your way out of the shit!» dice Jacoby, liberandosi da una pozza di fango con un solo colpo di pala. Questo “show nello show” offre una satira della decadenza del capitalismo e della retorica degli speculatori, come avviene da sempre nei coni d’ombra della cittadina.

D’altra parte, a Twin Peaks si consumano nuovi drammi familiari che riecheggiano il passato, e il personaggio di Becky (Amanda Seyfried) assume immediatamente un ruolo centrale. Figlia di Shelley Johnson (Mädchen Amick), la ragazza si presenta da lei al Double R Diner per chiedere soldi, come ormai ha l’abitudine di fare, e poi raggiunge in macchina il suo ragazzo Steven (Caleb Landry Jones) per sniffare coca. Se quest’ultimo è uno scapestrato che non sa nemmeno compilare il proprio curriculum (a dirglielo è Mike Nelson, ex spacciatore ed ex ragazzo di Donna ai tempi del liceo, ora diventato un membro produttivo della comunità), Becky ha tutto il potenziale per riflettere alcune caratteristiche di Laura Palmer: bella, bionda, all’apparenza innocente, frequenta cattive compagnie e dipende dalla droga, quindi è la preda ideale di qualunque “mostro” proveniente dalla Loggia Nera. È significativo che la scena più iconica dell’episodio sia tutta per lei: Lynch le dedica un lungo primo piano sulle note di I Love How You Love Me delle Paris Sisters, mentre Becky si gode il vento in faccia (o il trip) con il volto deformato dall’estasi, riportando l’episodio a quell’astrazione cui si accennava in principio. Impossibile dire se una nuova battaglia si combatterà sul suo corpo e sulla sua mente (com’è accaduto in precedenza a Laura), ma è chiaro che forze oscure sono tuttora presenti a Twin Peaks, e l’inquietante Richard Horne (Eamon Farren) ne è la prova: questo giovane solitario ignora il divieto di fumare nel Bang Bang Bar, e poi minaccia di stuprare una ragazza che gli aveva chiesto da accendere. Di nuovo, la violenza sessuale è il primo fattore identificativo degli antagonisti, insieme alla reificazione del corpo femminile; non a caso, Richard afferra la ragazza e comincia a disporre di lei come se fosse una bambola, in modo non dissimile da quanto ha fatto BOB con Laura fin dalla sua infanzia.

A proposito di BOB, il killer vive ancora in simbiosi con Dark Cooper, come lascia intendere lui stesso mentre si guarda nello specchio della sua cella. Quando gli viene concessa una telefonata, Dark Cooper digita una strana sequenza di numeri che comunica direttamente con il cercapersone di Buenos Aires, il quale si riduce a una scatolina minuscola. Intanto, il sistema di sicurezza del carcere impazzisce, e Dark Cooper recita il verso di una filastrocca: «The cow jumped over the moon», tratto da una celebre – quanto enigmatica – nursery rhyme inglese chiamata Hey Diddle Diddle. La filastrocca è stata soggetta a molte interpretazioni, ma sono in tanti a ritenere che non ci sia nulla da interpretare, e che il testo sia stato concepito per essere completamente surreale e privo di senso; insomma, senza alcun sottotesto “ideologico”. Non c’è da stupirsi che Lynch ne sia attratto: «Se vuoi mandare un messaggio» ha sostenuto lui stesso in una famosa dichiarazione, «vai all’ufficio postale. […] Devi essere libero di pensare le cose. Le idee arrivano e si agganciano l’una all’altra, e ciò che le unifica è l’euforia che ti danno, o la repulsione» (si veda David Lynch di R. Caccia, Il Castoro, Milano, 1994, p.8). La nuova stagione di Twin Peaks è frutto del medesimo processo creativo.

Voto: ★★★★★

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