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La Mummia – La recensione del film con Tom Cruise e Sofia Boutella

Pubblicato il 08 giugno 2017 di Lorenzo Pedrazzi

Dal 1929 al 1934, in quel felice interregno fra l’introduzione del sonoro e la creazione della Production Code Administration, Hollywood costruì un ardente immaginario fatto di gangster, allusioni sessuali, consumo di stupefacenti, mescolanza etnica, turpiloquio, tematiche sociali e personaggi femminili forti, prima che il Codice Hays venisse applicato sul serio – con tutte le sue rigidissime linee guida di natura morale – e il cinema “romantico” dominasse le grandi produzioni statunitensi, almeno fino al rinnovamento della New Hollywood. Fu proprio in quel periodo che la Universal Pictures trovò un terreno fertile per i suoi monster movies d’ispirazione gotica, classici dell’orrore che gettarono le basi per un’intera mitologia mostruosa. Oggi, cavalcando il successo della serialità e della continuity narrativa, il Dark Universe punta a riunire queste creature iconiche nel medesimo universo condiviso, adattandole ai gusti della contemporaneità e alle logiche dei blockbuster, dove l’avventura fantasy soppianta la purezza dell’horror.

Anche per questo, i paragoni fra La Mummia e l’omonimo cult del 1932 sono molto ardui. Il film di Alex Kurtzman, se mai, è ben più vicino al remake del 1999 con Brendan Fraser, almeno in termini spettacolari e produttivi: se quest’ultimo fu uno dei primi blockbuster a ibridare pesantemente il live-action e l’animazione digitale, la nuova versione si apre invece alle regole del racconto seriale, soprattutto nell’era del Marvel Cinematic Universe e dei suoi epigoni, seminando eventi e personaggi che germoglieranno nei prossimi capitoli. Non a caso, la battaglia fra Nick Morton (Tom Cruise) e la principessa Ahmanet (Sofia Boutella) s’intreccia con l’operato del Dr. Henry Jekyll (Russell Crowe), leader di un’organizzazione segreta – chiamata Prodigium – che combatte le minacce sovrannaturali, e che farà da collante tra i vari film di questo universo narrativo. Il fulcro della trama risiede comunque nel triangolo fra Nick, Ahmanet e l’egittologa Jenny Halsey (Annabelle Wallis), mentre il gender swap della mummia estremizza la sensualità della creatura per trasfigurarla in una sorta di dark lady, seduttrice e vendicativa, quasi irresistibile nelle sue lusinghe di potere sconfinato e vita eterna. Questa dinamica valorizza la caratterizzazione di Nick, eroe clamorosamente imperfetto, troppo egoista e inadeguato per reggere il destino del mondo sulle sue spalle: il conflitto fra paura e attrazione che Ahmanet suscita in lui – oltre a riflettere i sentimenti del pubblico – agevola il meccanismo dell’empatia a favore del “mostro”, pur senza grandi sfumature nella genesi e nella personalità della mummia. L’Imhotep di Boris Karloff era la degenerazione di un intento nobile (riportare in vita la persona amata), mentre in questo caso ci troviamo di fronte a un’antagonista pienamente votata al male, nella sua forma più arcaica e primigenia; di conseguenza, l’empatia è veicolata esclusivamente dal rapporto fra l’eroe e il “mostro”, soprattutto quando Ahmanet comincia a stabilire un dialogo con lui.

L’intero film è quindi un percorso di redenzione che si articola fra botti, sparatorie, morti viventi, bestie ributtanti e voli a gravità zero (sequenza impressionante, non c’è che dire), acquisendo maggior fascino quando dimentica le spacconate imperialiste del prologo e si addentra nell’intreccio sovrannaturale, sempre con uno spirito guascone. Pur essendo lontano dai toni umoristici di Stephen Sommers, La Mummia ha il merito di non prendersi troppo sul serio, e concede molto spazio all’ironia persino nelle scene d’azione, con effetti vicini allo slapstick quando Nick affronta gli scagnozzi di Ahmanet. Il gotico c’è solo a sprazzi, ma la campagna inglese e il sottosuolo londinese garantiscono un’atmosfera macabra che richiama (molto vagamente) i classici della Hammer, mentre gli incontri fra Nick e l’amico non-morto Chris (Jake Johnson) rievocano Un lupo mannaro americano a Londra, ovviamente lontano anni luce.

Ne risulta un blockbuster onesto, capace di trarre qualche sviluppo interessante da una trama prevedibile, simpaticamente démodé nella sua commistione di avventura, dramma e distensione comica, sull’ovvio modello di Indiana Jones (soprattutto nella prima parte) ma anche di molti colossal degli anni Novanta. L’ansia di costruire un universo più vasto si fa sentire nell’introduzione affrettata di Prodigium, ma in compenso Russell Crowe si diverte con un Dr. Jekyll serafico ed elegante, bomba a orologeria pronta a scoppiare nel suo caustico alter ego. È in quest’idea di continuity che La Mummia si fa più contemporaneo, sposando le politiche dei cross-over e degli easter egg: questi ultimi, peraltro, abbondano nei laboratori di Prodigium, dove i maliziosi indizi sui prossimi film – come lo scudo di Capitan America o il martello di Thor nel MCU – guadagnano i favori dell’inquadratura per una manciata di secondi. In attesa di vedere gli altri frutti del Dark Universe, la seducente malvagità di Ahmanet offre un discreto intrattenimento.

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