Sareste pronti a sacrificare – uccidendolo – un membro della vostra famiglia, uno a scelta, per salvare tutti gli altri? Impossibile a dirsi davanti ad uno schermo mentre si cercano informazioni su di un film, eppure è in questa domanda e nella sua risposta che si basa The Killing Of A Sacred Deer (L’uccisione del cervo sacro) il nuovo film del regista greco Yorgos Lanthimos.
Colin Farrell vi interpreta un affermato chirurgo che quasi ogni giorno, in maniera abbastanza misteriosa, incontra un adolescente trattanandolo quasi come se ne fosse il padre. Dietro si nasconde un senso di colpa che il ragazzo manipola al fine di dare vita ad una spietata vendetta.
Messo da parte il grottesco umorismo di The Lobster, Lanthimos ne mantiene la ferocia dei personaggi e la visione di un mondo senza soluzioni intermedie, o c’è vita o c’è morte. Tolleranza, perdono e comprensione sono concetti non previsti tanto che nessuno li invoca durante la storia.
La costruzione narrativa di The Killing Of A Sacred Deer è quella classica di tanti thriller in cui una famiglia lascia entrare al proprio interno un esterno rimanendo vittima delle conseguenze. Lanthimos ne fa il pretesto per un ragionamento sul libero arbitrio spinto fino all’estrema scelta di un sacrificio (come l’Agamennone costretto a immolare la sua Ifigienia), senza però riuscire a dare quell’idea di storia universale che ci si aspetta da un autore normalmente così originale. Il particolare non si trasforma in mito. E, paradossalmente, la ragione è l’assenza di informazioni che caratterizzino i personaggi in maniera credibile. Mancano informazioni sul passato del personaggio di Farrell, sul ragazzino che lo perseguita nonché sulla bambina, troppo facilmente plagiabile per non sembrare macchietta. Il film si guarda senza problemi, in molte scene il pathos è alto, le performance di Colin Farrell, Nicole Kidman (che ne interpreta la moglie) e dell’emergente Barry Keoghan (che vedremo in Dunkirk di Christopher Nolan e si candida per un premio al Festival di Cannes 2017) sono godibili, ma a titoli di coda sullo schermo la sensazione generale è di non aver potuto cogliere tutto ciò che il regista voleva dirci. E non per colpa nostra.
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