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Supergirl – La recensione del season finale: Nevertheless, She Persisted

Pubblicato il 24 maggio 2017 di Lorenzo Pedrazzi

Nevertheless, She Persisted: l’ultimo episodio della seconda stagione di Supergirl celebra la Ragazza d’Acciaio fin dal titolo, chiudendo la battaglia contro i Daxamiani in modo (ovviamente) melodrammatico, poiché non sempre la salvezza della Terra coincide con la felicità della sua paladina.

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Ripartiamo dall’inattesa conclusione della scorsa puntata, quando Superman (Tyler Hoechlin) ha attaccato Supergirl (Melissa Benoist) sulla nave di Rhea (Teri Hatcher) durante l’invasione dei Daxamiani. La crudele regina ha infettato l’Uomo d’Acciaio con la kryptonite argentea, che induce allucinazioni molto vivide: di conseguenza, Superman è convinto di combattere contro il suo più acerrimo nemico, il Generale Zod (Mark Gibbon), e non vede che in realtà si tratta di Kara. Il funzionamento della kryptonite argentea non è affatto chiaro – per quale motivo, ad esempio, Superman confonde Zod proprio con sua cugina? – ma evidentemente dobbiamo sospendere l’incredulità e accettare questo espediente narrativo così com’è, per quanto semplicistico possa sembrare. In ogni caso, lo scontro tra i due kryptoniani dà luogo a una spettacolare scena d’azione che si divide fra terra e cielo, e che ricorda – ovviamente in tono minore – la battaglia finale tra Superman e Zod ne L’Uomo d’Acciaio: considerando i limiti di budget, la CGI regge bene l’impegno, e il combattimento ha un tono sufficientemente drammatico. Kara riesce a battere suo cugino, ed entrambi vengono portati alla Fortezza della Solitudine per recuperare.

È proprio qui che Superman e Supergirl, consultando il database, scoprono una possibile soluzione: l’antica legge daxamiana prevede infatti che le controversie possano essere risolte per singolar tenzone, quindi Kara sfida Rhea a duello per stabilire il destino della Terra; la regina accetta e ordina al suo esercito di cessare le ostilità. Nel frattempo, Lillian Luthor (Brenda Strong) propone a sua figlia Lena (Katie McGrath) una soluzione alternativa: Lex aveva costruito un dispositivo per avvelenare l’atmosfera terrestre con la kryptonite, rendendola quindi invivibile per Superman; ebbene, quell’arma può essere riconvertita per usarla contro i Daxamiani, utilizzando il piombo – nocivo per loro anche in dosi minime – al posto della kryptonite. Lena ne parla con Supergirl, che accetta la proposta, ma il dispositivo dovrà essere attivato solo in caso di sua sconfitta contro Rhea, anche perché costringerebbe Mon-El (Chris Wood) ad abbandonare la Terra. Cat Grant (Calista Flockhart), appena tornata a National City, è però convinta che Supergirl possa farcela. Intanto, J’onn / Martian Manhunter (David Harewood) si risveglia dal coma grazie all’intervento psichico di M’gann / Miss Martian (Sharon Leal), e invia Winn (Jeremy Jordan) ad aiutare Lena con il dispositivo. Superman allena Supergirl per il combattimento con Rhea, e Kara confessa la sua preoccupazione: ora che ha tutto ciò che desidera, teme di perderlo nell’imminente battaglia, ma suo cugino la rassicura.

Il combattimento si svolge in cima a un palazzo, con Mon-El nel ruolo di “secondo”. Dopo le prime schermaglie, però, Rhea non tiene fede ai patti, e ordina alle sue astronavi di riprendere l’attacco. Mon-El, Superman e J’onn scendono in strada per combattere i Daxamiani, aiutati da M’gann – che ha sentito il richiamo inconscio di J’onn – e da un gruppo di Marziani Bianchi “buoni”. Gli scontri che ne conseguono sono davvero notevoli, e dimostrano che The CW ha saputo spremere il budget fino all’ultima goccia per realizzare un epilogo dalle sfumature epiche: tutti i combattimenti sono piuttosto spettacolari, anche se ovviamente il focus si concentra su Supergirl e Rhea, dove c’è in gioco la sorte della Terra. Si tratta infatti di un duello ben più emotivo e sofferto degli altri, anche perché il sangue di Rhea è stato contaminato dalla kryptonite dopo che i detriti di Krypton sono precipitati su Daxam, quindi la Ragazza d’Acciaio ne risulta indebolita. Ciononostante, Kara sa bene per cosa (e chi) combatte, quindi riesce ad attingere a tutte le sue forze e blocca i colpi dell’avversaria, sconfiggendola. Purtroppo, però, le navi daxamiane hanno i cannoni puntati sugli ospedali e altri obiettivi sensibili, quindi Supergirl – con il supporto di Mon-El – è costretta a chiedere l’attivazione del dispositivo, che contamina l’aria di piombo, uccide Rhea e costringe i Daxamiani alla fuga. Da questo punto di vista c’è chiaramente una forzatura: come può un congegno così piccolo (è una scatola di pochi centimetri) contenere tutto quel piombo, e spargerlo nell’atmosfera così in fretta? Di nuovo, la serie pretende troppo dalla sospensione d’incredulità, come accade spesso negli show di Greg Berlanti. In compenso, bisogna ammettere che questo espediente genera la scena più toccante dell’episodio: Mon-El è in grado di resistere più a lungo degli altri Daxamiani perché si trova sulla Terra da alcuni mesi, ma il piombo comincia ben presto a farlo stare male, e Kara deve sorreggerlo fino alla navetta con cui arrivò sul nostro pianeta, unico mezzo per lasciare l’atmosfera in tutta fretta. Non è la prima volta che vediamo una scena del genere, eppure la bravura di Melissa Benoist rende credibile anche il dolore per questo distacco, con tutto il peso del sacrificio che grava sulle sue spalle; ed è tanto più sorprendente se consideriamo che la storia d’amore fra Kara e Mon-El non è mai stata così coinvolgente, anzi, i due personaggi non sono abbastanza affiatati o compatibili da giustificare l’empatia. L’attrice americana riesce davvero a umanizzare l’eroina, aggiungendo un brio e una goffaggine che suscitano calore e compartecipazione: anche per questo, la sua sofferenza è molto percepibile.

D’altro canto, la vita sentimentale degli altri personaggi è messa decisamente meglio: Alex (Chyler Leigh) chiede a Maggie (Floriana Lima) di sposarla, Winn continua il suo rapporto con Lyra (Tamzin Merchant), mentre J’onn e M’gann possono trascorrere un po’ di tempo insieme. Ma Supergirl sa che il suo cammino è irto di sacrifici, e ormai ha accettato il suo ruolo di paladina della Terra con tutto ciò che comporta; per questo motivo, la Ragazza d’Acciaio è pronta a tornare subito in azione, rinvigorita dal supporto morale di Cat (la quale, segretamente, ha capito che Kara e Supergirl sono la stessa persona). Intanto, la navetta di Mon-El viene risucchiata da un misterioso passaggio dimensionale, mentre l’episodio si chiude con un flashback ambientato 35 anni prima su Krypton, a pochi minuti dall’esplosione del pianeta: durante la partenza della piccola Kara, alcuni individui incappucciati sistemano un neonato a bordo di un’altra navetta e lo “benedicono” con del sangue, dichiarando che crescerà sulla Terra per dominarla.

Questi intriganti cliffhanger seminano indizi sul futuro di Mon-El e sul big bad della terza stagione: il Daxamiano potrebbe (il condizionale è d’obbligo) approdare al XXXI secolo ed entrare nella Legione dei Super-Eroi, di cui fa parte nei fumetti, mentre l’oscuro neonato potrebbe essere addirittura Doomsday, il potentissimo supervillain che uccise Superman in un celebre arco narrativo; ovviamente sono soltanto ipotesi, da verificare nella prossima stagione. Per il momento, si può dire che Nevertheless, She Persisted risulti soddisfacente sul piano spettacolare ed emotivo, ma non altrettanto in termini di scrittura. Le incongruenze logiche sono palesi, e non solo nei casi sopracitati: è inverosimile, ad esempio, che l’esercito non intervenga mentre c’è un’invasione aliena in corso, eppure nelle strade di National City figurano soltanto i Daxamiani, qualche uomo del DEO e un gruppo sparuto di poliziotti. Ma l’aspetto che desta maggiori perplessità riguarda proprio Supergirl: l’insistenza sui temi dell’empowerment femminile – per quanto doverosa – si traduce in un approccio didascalico alla materia, dove i personaggi non fanno altro che decantare le lodi di Kara e celebrare le sue sfavillanti qualità, al punto da trasformarla in una sorta di “Mary Sue” che si erge sopra tutti gli altri, e che possiede solo difetti “carini” o non realmente riprovevoli (anzi, spesso questi presunti difetti sono soltanto un’esasperazione dei suoi pregi, e servono a delineare il suo senso di responsabilità verso il prossimo). I discorsi incoraggianti di Superman e Cat radicalizzano questa sensazione fino al parossismo: non solo Kara si rivela più forte dell’Uomo d’Acciaio (e fin qui ci può anche stare, nonostante sia stata esposta al Sole giallo per meno tempo), ma è anche una reporter di grande talento, un’amica straordinaria, una sorella fantastica e un’eccellente paladina della Terra. Non è sempre stato così – in passato Kara ha compiuto alcuni errori considerevoli – ma all’improvviso il season finale dipinge il ritratto di un personaggio quasi ultraterreno, prossimo alla santificazione, che solo la bravura di Melissa Benoist riesce a umanizzare. Siamo sicuri che questo significhi omaggiare il girl power? A ben vedere, sembra invece un ritorno alla vecchia concezione della figura femminile come pura ed eterea, priva di attributi fisiologici e limiti terreni: una figura da mettere sul piedistallo, come una santa. Il discorso non riguarda i suoi colleghi degli altri show (i difetti caratteriali di Flash e Freccia Verde sono evidenti), ma Supergirl rischia di subire un’evoluzione che la porterà sempre più lontana dall’esperienza umana, e sempre più vicina a un concetto idealizzato. Questa interpretazione non ha mai fatto bene a Superman, e gioverebbe ancor meno alla Ragazza d’Acciaio.

Voto: ★★ 1/2

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