Il cineasta francese provoca con una storia di perversioni e gemelli.
Chloé non dorme bene, ha spesso male allo stomaco, ma da nessuna analisi medica emerge una patologia e così, con la speranza che sia un problema psicosomatico, decide di cominciare delle sedute con lo psicanalista. Lei, ex modella, lui – Paul – intelligente e attraente, dopo poco scatta la scintilla. Decidono di andare a vivere assieme. Durante lo svuotamento dei pacchi Chloé trova un vecchio documento che dimostra come Paul abbia cambiato nome rispetto a qualche anno prima. Il mistero si infittisce quando Chloé incontra in città un altro psicanalista, gemello del suo compagno, di cui però non sapeva l’esistenza e che caratterialmente appare come la sua nemesi…
Da Inseparabili a Mulholland Drive, passando per Doppia personalità, Fight Club, Femme Fatale e tanti altri ancora, il tema del doppio è una costante del cinema degli ultimi 30 anni: François Ozon, sceneggiatore e regista di L’amant double, pesca un po’ da tutti i suoi predecessori (in particolare modo De Palma), cercando di differenziandosene puntando forte il pedale dell’erotismo. Gli riesce, almeno a livello di atmosfere, mettendo al centro di tutto la sensualità di Marine Vacht (sua musa, lavorarono assieme già in Giovane e Bella), ma mancando quasi completamente a livello di scrittura, con una storia che non regge da nessuna parte, confusa, furba oltre ogni limite di tollerabilità. Non entriamo nel dettaglio per non scrivere spoiler.
Al Festival Cannes dove il film è stato presentato in concorso, la critica lo ha pesantemente fischiato, ma non è detto che in sala il pubblico che ama prima di tutto l’intrattenimento possa amarlo. Ozon è un autore ambizioso, che non si ripete mai, ma con la stessa maestria con cui a volte regala momenti di eccezionale cinema, a volte manca completamente il bersaglio, appare lezioso e desideroso più di sconvolgere che costruire lavori organici che rivelino un’idea di cinema che vada da un punto A a un punto B. Intrattiene, ma può bastare? Di L’amant double finisce così che ci si ricorderà più delle intense scene di sesso (tradizionali, con strapon e a tre) che qualsiasi indagine psicologica su quella doppia identità che il titolo vorrebbe suggerirci.
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