Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, la recensione di Roberto Recchioni

Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, la recensione di Roberto Recchioni

Di Roberto Recchioni

Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar
Di Roberto Recchioni

I Pirati dei Caraibi sono arrivati al successo partendo da un’idea improbabile (trarre un film da una nota attrazione di un parco e tema), con un regista improbabile (Gore Verbinski, all’epoca del primo film, aveva all’attivo solo un film con protagonista un topo, un action-romantico e il remake di un horror giapponese) e con una star capricciosa in crisi di incassi, che voleva interpretare il protagonista come gli pareva a lui. Certo, il produttore era Jerry Bruckheimer, uno capace di fare soldi con qualsiasi cosa, e alle spalle di tutto c’era la Disney, ma che l’operazione si rivelasse un successo non era per nulla scontato.

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Questo succedeva nel 2003 e oggi, nel 2017, sappiamo come è andata a finire: il primo Pirati dei Caraibi ha fatto innamorare il mondo del Capitano Jack Sparrow e questo idillio, grazie anche alla regia ardita e visionaria di Verbinski, è continuato per i due sequel successivi, nonostante ogni nuovo capitolo fosse sempre più incerto e privo di fantasia sotto il punto di vista narrativo. Poi qualcosa si è rotto o, forse, semplicemente si è chiuso un ciclo, fatto sta che la quarta reiterazione del franchise, la meno fracassona e la più strutturata di tutta la serie, ma anche la più anonima dal punto di vista immaginifico, è stata affidata a quell’onesto regista-operaio di Rob Marshall e ha sì ottenuto incassi stratosferici (merito dell’onda lunga e positiva delle tre pellicole precedenti) ma anche pessime recensione da parte di una critica mai troppo generosa con la serie e di un pubblico decisamente annoiato. È così che, con qualche serio dubbio sulla reale necessità di avere ancora altre storie di Jack Sparrow e soci, si è arrivati a questo quinto capitolo, diretto da Joachim Rønning e Espen Sandberg, una coppia di registi norvegesi capaci di farsi notare da Hollywood con il bel Kon-Tiki. Le intenzioni produttive e creative erano semplici: tornare sulla rotta iniziale, ovvero quella del film fracassone sostenuto da un forte impatto visivo, con un cast fresco e Johnny Depp a fare da mattatore. Il risultato è abbastanza riuscito perché il film, pur non potendo contare su un talento come quello di Verbinsky, ha ritrovato una certa visionarietà e un bel ritmo. In sostanza, sullo schermo c’è sempre qualcosa di interessante da guardare e questo è già un bel passo in avanti rispetto all’approccio cauto e anonimo del penultimo capitolo diretto da Marshall. Poi, da qui a dire che la serie è tornata ai suoi fasti, ce ne vuole. Perché se da una parte è vero che sarebbe troppo facile e, sostanzialmente, inutile stare a criticare una sceneggiatura che nemmeno ci prova a stare in piedi sulle sue gambe, è altrettanto vero che arrivati alla quinta reiterazione delle stesse meccaniche, viene un poco da chiedersi perché investire il proprio tempo in una storia che, sostanzialmente, è sempre la stessa dal 2003 a oggi. Dubbi del tutto leciti che, solo in parte, vengono spazzati via dalla presenza sullo schermo di alcuni squali zombi (che da soli valgono il biglietto).

Detto questo, cosa funziona e cosa non funziona di questa vendetta di Salazar?
Funziona il ritmo (non era così scontato dopo il quarto capitolo), sostenuto anche da una colonna sonora sempre trascinante.
Funzionano la maggior parte degli effetti visivi (alcuni particolarmente ispirati e originali) e l’impatto estetico generale del film.
Funzionano (e molto bene) Brenton Thwaites e Kaya Scodelario, la nuova coppia di co-protagonisti che accompagnano Sparrow. Lui è simpatico e sembra una versione cinematografica di Guybrush Threepwood, il temibile pirata della LucasArts, mentre lei è, semplicemente, deliziosa.
Funziona (ma era scontato) Javier Bardem, che gigioneggia e spadroneggia in lungo e in largo per i mari e la costa.
E funziona, ancora, Johnny Depp, che è vero che ormai interpreta Jack Sparrow con il pilota automatico, ma è comunque, sempre, una spanna sopra a tutti.
Meno positiva, invece, la prestazione di Geoffrey Rush, che sembra ormai stanco di tutto il baraccone, per quanto faccia il suo con la consueta classe e dignità.
Terribilmente negativo l’impianto di una sceneggiatura che porta a schermo delle scene anche molto interessanti, purtroppo a discapito di una qualsiasi coerenza o senso.
Tremende e imbarazzanti le brevi apparizioni di Orlando Bloom e Keira Knightley che nel film appaiono come due zavorre del passato di cui è difficile liberarsi.
Nel complesso, la valutazione è positiva.
A patto che non vogliate vedere un film che reinventa la ruota.

Illustrazione esclusiva per ScreenWEEK di Roberto Recchioni

Pirati dei Caraibi La vendetta di Salazar Illustrazione esclusiva per ScreenWEEK di Roberto Recchioni

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