Recensione a cura di Adriano Ercolani, New York.
Dopo tanti (forse troppi) film passati a mostrare al pubblico le sue doti stilistiche e la sua divertita padronanza del mezzo cinema, finalmente Guy Ritchie ha deciso di fare sul serio. E con King Arthur: Il Potere della Spada ha totalmente centrato il bersaglio.
Sono bastati i primi dieci minuti del film per capire che il tono era cambiato, anzi diametralmente opposto ai suoi lavori precedenti: lo spettacolo è sempre sfarzoso e magniloquente, come forse non si vedeva in un fantasy dai tempi de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, ma il tono questa volta è fortemente drammatico. In alcuni momenti si scivola addirittura nell’horror, fattore che oltre che sorprendere arriva anche a entusiasmare.
L’approccio di Ritchie a Re Artù sembra quasi shakespeariano, tante sono le implicazioni psicologiche del personaggio principale. Il rapporto irrisolto con il trauma della morte del genitori è il nucleo principale della storia, e il regista lo sviluppa con notevole forza narrativa, spingendo l’eroe reclutante in un percorso a tappe la cui spettacolarità visiva si coniuga in maniera sorprendete con l’approfondimento psicologico. E dall’altra parte abbiamo un antagonista a tutto tondo: il Vortigern interpretato da Jude Law (senza dubbio il migliore del cast grazie a una prova istrionica e infuocata) possiede la sostanza dei grandi “villain”, roso internamente dalla sua sete di potere, deciso a sacrificare non senza doloro tutto ciò che gli è più caro per la sua bramosia.
Insomma, con King Arthur: Il Potere della Spada Guy Ritchie è uscito dalla sua comfort zone cinematografica e si è preso dei rischi non calcolati passando a un cinema decisamente più corposo e drammatico, oseremmo dire più adulto. Lo ha fatto ovviamente con l’arma che sa usare meglio, quella dello spettacolo capace di rapire. Tutto nel film funziona meravigliosamente, dalla fotografia del grande John Mathieson al montaggio adrenalinico di James Herbert. Menzione particolare però meritano le poderose musiche di Daniel Pemberton, che regalano un effetto drammatico inusitato a molte sequenze. Le percussioni ridondanti sono il cuore sonoro di King Arthur, sanguigno e impossibile da dimenticare.
Per quanto riguarda il cast di attori abbiamo già scritto della bravura di Jude Law. Charlie Hunnam si rivela assolutamente in parte nel ruolo principale, e sostiene i momenti più introspettivi molte meglio che nei suoi film passati. Gli attori di contorno sono perfetti, in particolare Aidan Gillen che diventa anno dopo anno una “spalla” sempre più versatile e preziosa. Un attore che meriterebbe probabilmente più ruoli da protagonista, anche in film di proporzioni ampie come questo.
King Arthur: Il Potere della Spada è contenuto oltre che forma, e rispetto a molto cinema passato di Guy Ritchie risulta quindi ancor più sorprendente nel suo potere drammatico. Ovviamente contano lo spettacolo e l’intrattenimento prima di tutto. Ma in questo caso non sono assolutamente scontati o superficiali. Al contrario rappresentano la confezione di un lungometraggio denso ed emozionante.
Quando il padre del piccolo Arthur viene assassinato, suo zio Vortigern (Jude Law) si impadronisce del trono. Derubato dei diritti che gli spetterebbero per nascita e senza sapere chi è realmente, Arthur riesce a sopravvivere nei vicoli oscuri della città e solo quando estrae la mitica spada dalla roccia la sua vita cambia radicalmente ed è costretto ad accettare la sua vera eredità… che gli piaccia o no. QUI trovate la pagina facebook italiana del film.
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