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Da ieri 20 Maggio è disponibile nelle sale italiane il film Fortunata, ultima fatica del regista Sergio Castellitto (per la sceneggiatura della moglie Margaret Mazzantini) anche in selezione Un certain Regard (fuori concorso) per il Festival di Cannes.
I LOVE TORPIGNA
Il sesto film di Castellitto è figlio di quella sequela di pellicole che negli ultimi tempi in Italia (finalmente!) vivono appieno dell’anima della loro città: il quartiere di Torpignattara è dipinto a tinte forti e decise sul maxischermo, mostrandoci un contesto – quello in cui vivono i protagonisti della vicenda – che non solo è reale e riconoscibile, fra i piccoli momenti di vita quotidiana e i non così improbabili personaggi di borgata, ma anche impietoso e, soprattutto, in divenire.
Si tratta infatti di una Roma perfettamente integrata ed in integrazione che Castellitto omaggia e descrive soprattutto nelle pause del film, raccontandola al pubblico a tratti completamente slegandola dalla trama principale: la città è una delle protagoniste, e porta avanti la sua storia così come Fortunata, la sua figlioletta Barbara e tutti i pittoreschi personaggi che alle due fanno da contorno.
Si potrebbe ravvisare a tratti una sorta di critica ad una globalizzazione (o invasione che dir si voglia: noi non vogliamo) che evidentemente lascia poco spazio alla tradizione ed alle radici romane (dalla strozzina cinese, al Burqa che costringe una bimba a porsi determinate domande), ma a nostro avviso si tratta solamente di una constatazione del reale, di situazioni prese a piene mani dalla vita del quartiere e mostrate in sala come in un documentario e libere dell’amarezza che un occhio poco attento potrebbe voler cogliere.
FORTUNATA
La storia di Fortunata, soppesata perfettamente sulla Roma che abbiamo appena descritto, è quella di una donna con un oscuro segreto ed in lotta con la vita: i soldi che non bastano mai, un ex marito che continua a maltrattarla psicologicamente e fisicamente, un negozio da parrucchiera da aprire assieme al suo migliore amico tossicodipendente ed una figlia a cui è impossibile dedicare il tempo che le spetta. Ma Fortunata ha trovato un equilibrio (im)perfetto: il riscatto è in arrivo, e fra un viaggio e l’altro, facendo pieghe e tagli a domicilio mentre sua figlia viene seguita da uno psicologo, al settembre che invoca continuamente e che vedrà l’inaugurazione e – si spera – la fine dei problemi manca pochissimo.
Sarà l’amore a rompere l’equilibrio così duramente conquistato: un amore che si rivelerà inaspettatamente essere più forte del sogno di una vita e forse in grado di rivaleggiare anche con quello verso la piccola Barbara.
IL CAST
Jasmine Trinca nel ruolo della protagonista riesce immediatamente a regalare al pubblico un personaggio pieno di passione, costruito ad arte: dalla ricrescita dei capelli al tatuaggio incompleto, ogni dettaglio di Fortunata (a prescindere che sia fisico o caratteriale, poiché i due aspetti si fondono assieme al punto da non poterli concretamente distinguere) è studiato alla perfezione, e con quella perfezione aderisce all’attrice.
Non sono da meno la quasi totalità dei comprimari, a partire dalla piccola e bravissima Nicole Centanni (Barbara) e continuando con un rodato Edoardo Pesce nel ruolo del violento ex marito di Fortunata, romano de Roma vecchio stile – nella più negativa accezione del termine – e la stella nascente Alessandro Borghi nel ruolo del Chicano, migliore amico ed anima affine (ma non interesse amoroso) di Fortunata.
Unica eccezione uno Stefano Accorsi decisamente sottotono rispetto ai suoi standard, complice forse anche una scrittura del personaggio che vorrebbe farcelo prendere a pugni una volta usciti dalla sala (e questo è bene) ed a cui è legata almeno una scena in particolare capace di far provare allo spettatore quasi una empatica vergogna in seno alla situazione fuori contesto in cui è inserito l’attore (e questo è male).
MODERNA ANTIGONE
Molti i simpatici tormentoni che il film ripropone a più riprese, in un crescendo che dalla spensieratezza iniziale fa assumere ad essi toni sempre più cupi. Dai già citati cravattari orientali, all’ossessione per i numeri ritardatari del lotto fino al mito di Antigone, che la madre del Chicano, affetta da alzheimer ed ex attrice di teatro, cita spesso, gli stessi momenti comici che nella prima parte del film sono riusciti a strappare genuine risate allo spettatore si trasformeranno uno dopo l’altro in tragedia.
Ed in effetti la tragedia di Antigone, imprigionata in una grotta e costretta ad uccidersi per evitare una lenta e straziante morte, è la metafora di quella di Fortunata, incastrata in una vita che sembra impossibile da risolvere e che sul finale non potrà far altro che precipitare (ma le similitudini non si fermano certo qui).
Se Fortunata seguirà lo stesso destino di Antigone non possiamo (e non vogliamo) qui rivelarlo; sveliamo però che quella che Castellitto ricrea nella sua opera è una tragedia moderna, reale ed attuale, in cui fin troppi si ritroveranno ad immedesimarsi e che nell’ultimo atto esplode in una drammaticità fin troppo italiana, costringendo a serrare i pugni e le mascelle: il pubblico si fonde con i due protagonisti tanto in positivo che in negativo, svelando ciò che dietro la maschera (quasi?) tutti saremmo capaci di fare.
Un racconto di vita talmente vero da fare male.
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