Recensione a cura di Adriano Ercolani, New York.
Chi si ricorda dello scorbutico Harvey Pekar interpretato da un grande Paul Giamatti in American Splendor? Tratto dall’omonimo fumetto, il piccolo grande cult movie diretto da Shari Springer Berman e Robert Pulcini nel 2003 ottenne addirittura la nomination all’Oscar per il miglior adattamento, e ne avrebbe meritate sicuramente altre, soprattutto quella per l’attore protagonista. Chissà che ciò non riesca invece a Wilson, operazione molto simile sia nel tono che nella strategia produttiva.
La materia originale questa volta è opera di un altro fumettista di culto, Daniel Clowes, di cui è già stato portato al cinema Ghost World nel 2002, piccolo gioiello di nichilismo urbano diretto da Terry Zwigoff e interpretato dalla coppia Scarlett Johansson/Thora Birch.
Al centro della vicenda di questo nuovo adattamento c’è un uomo solo, perso dopo la morte del padre, che vorrebbe cambiare la sua vita in meglio ma è troppo debole e rancoroso per provarci veramente. L’unica cosa che gli resta da fare è rovinare l’umore di chiunque gli si presenti vicino, siano essi affetti familiari, amici o semplicemente sconosciuti incontrati nella giornata (per loro) sfortunata. Finché un giorno scopre di avere avuto una figlia dalla moglie con cui ha divorziato diciassette anni prima…
In una provincia americana che come al solito calza perfettamente per essere teatro di storie di alienazione, Woody Harrelson si muove dentro i panni di Wilson dimostrandosi del tutto a proprio agio nel ruolo. Era impossibile che un interprete iconoclasta come lui non si divertisse a dar vita a questo tipo di psicologia, ma l’attore non si limita soltanto a sfoggiare le sue doti istrioniche: al contrario Harrelson riempie il suo antieroe con una malinconia di fondo che si trova già nel fumetto originale ma che era impervia da riproporre al cinema. Grazie soprattutto al protagonista l’operazione è sotto questo punto di vista totalmente riuscita. Accanto a lui merita applauso anche Laura Dern, amabile ed efficacissima quando si tratta di lavorare con i mezzi toni. Molto felice anche la partecipazione minuscola ma ficcante di Judy Greer, che evita alcune leziosità in cui spesso eccede e tratteggia invece un personaggio ordinario e profondo, senza dubbio il meno problematico dell’intera storia. Il regista Craig Johnson mette in scena il mondo di Wilson e il suo assurdo tentativo di ricostruzione familiare con il necessario distacco, necessario al fine di non caricare eccessivamente la vicenda di toni grotteschi.
Peccato solo che sia stato parzialmente tagliato (il che purtroppo significa edulcorato…) il finale del comic-book di Clowes, probabilmente per rendere l’adattamento cinematografico meglio accessibile a un pubblico più ampio. Ciò non inficia comunque più di tanto la fattura pregiata di un’opera sanamente corrosiva, a tratti addirittura sferzante. L’ipocrisia spesso bigotta, sempre egoista di un’America ancora oggi ottusa e perbenista viene periodicamente smascherata da film come questo, tanto più taglienti proprio perché “piccoli”, abili quindi a insinuarsi nella mente dello spettatore e stuzzicarla. Forse non siamo ai livelli di American Splendor, comunque difficili da raggiungere, ma Wilson merita assolutamente di essere visto, non fosse altro che per la prova sulfurea e scoppiettante di un Woody Harrelson come sempre irresistibile.
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