The Bye Bye Man – La recensione dell’horror di Stacy Title

The Bye Bye Man – La recensione dell’horror di Stacy Title

Di Filippo Magnifico

Elliott, la fidanzata Sasha e l’amico John decidono di affittare una villetta. Quelle mura nascondo oscuri segreti, collegati ad un’entità soprannaturale conosciuta con il nome di “The Bye Bye Man”, che finirà per perseguitarli.

Non dirlo, non pensarlo“. La campagna promozionale di The Bye Bye Man, pellicola horror diretta da Stacy Title (Hood of Horror, Il Diavolo dentro), si era dimostrata particolarmente efficace, non puntando sulla novità ma su quegli elementi classici tanto cari ai fan del cinema horror.

Un tormentone ripetuto in modo ossessivo e in grado di trasmettere un senso di oppressione costante (è impossibile “non pensare” ad una cosa, soprattutto quando ci viene consigliato di non farlo); una figura, il “Bye Bye Man”, che sulla carta sembrava affascinante e in grado di ritagliarsi un posticino nell’affollato panorama del cinema horror; una storia classica, con dei giovani ragazzi costretti a confrontarsi con un orrore molto più grande di loro. Il tutto reso ancora più allettante da alcuni presunti fatti di cronaca (nera), diventati la principale fonte di ispirazione.

Cose che non fanno gridare al miracolo, sia chiaro, ma che perlomeno fanno sperare in un solido film vecchio stampo. Purtroppo non è così.

Bye Bye Man

Diciamo subito che non esistono “reali fatti di cronaca” a cui il film si ispira: The Bye Bye Man si basa su una leggenda metropolitana che trova origine nel racconto ‘The Bridge to Body Island’ di Robert Damon Schneck. Il consiglio è di leggerlo o perlomeno informarsi prima di guardare il film, perché potrebbe rivelarsi fondamentale nella comprensione di alcuni passaggi che – non si sa bene per qualche motivo – sono stati omessi dalla storia. Lasciare un alone di mistero è sempre cosa buona, soprattutto in un horror, purché non si raggiungano livelli che sfiorano l’omertà, come in questo caso.

L’impressione è che alcune parti della pellicola siano state tagliate senza cura, penalizzando la linearità del racconto e rendendolo monco. A subirne le conseguenze è proprio l’inquietante mostro al centro della vicenda (interpretato da un veterano del genere come Doug Jones). Chi è il Bye Bye Man? Cosa vuole? Perché si comporta così? Cosa rappresenta il Gloomsinger, la creatura infernale sempre con lui? Le monete? Il treno 4241? La sceneggiatura di Jonathan Penner non fa altro che disseminare dettagli utili per stabilire una mitologia senza approfondirli, azzerando il pathos e lasciando spazio ad una confusione che diventa presto noia.

The Bye Bye Man 02

Stessa cosa per i personaggi, che riescono a malapena a sfiorare la soglia della bidimensionalità in quella che sembra una gara per eleggere la figura più insignificante dell’anno. Non bastano i loghi delle band sulle t-shirt a delineare una personalità e non serve coinvolgere grandi nomi come Carrie-Anne Moss (Matrix, Jessica Jones) e Faye Dunaway se la parola d’ordine è “sottoutilizzare”. Se si esclude qualche momento azzeccato e una rappresentazione del mostro decisamente d’impatto, quello che rimane è ben poco in un susseguirsi di occasioni mancate e svogliatezza.

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