Cinema Recensioni

Life – La recensione del sci-fi di Daniel Espinosa

Pubblicato il 22 marzo 2017 di Lorenzo Pedrazzi

La politica dei blockbuster tende storicamente a rielaborare i tòpoi dei vecchi b-movie attraverso una confezione lustrata ad arte, votandosi così a un intrattenimento globalizzato che necessita di uno sguardo più patinato e autocosciente per attrarre il pubblico contemporaneo. Life, nello specifico, ripercorre quei tòpoi con precisione amorevole, fedele a un immaginario “di genere” che gli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick omaggiano costantemente, pur cercando soluzioni adeguate al proprio contesto.

Lo scenario in questione, per intenderci, è molto diverso rispetto ad Alien, cui Life paga consapevolmente più di un debito. Non ci troviamo nell’epoca remota di Ellen Ripley, ma in un futuro abbastanza prossimo, tra l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale che orbita attorno alla Terra: grande è la gioia degli astronauti quando il tecnico Rory Adams (Ryan Reynolds) riesce ad agganciare una sonda proveniente da Marte con a bordo il primo esemplare di vita extraterrestre mai scoperto dall’umanità, per studiarlo in un laboratorio accuratamente predisposto. Lo specialista Hugh Derry (Ariyon Bakare) risveglia l’esemplare immettendolo nella giusta atmosfera, e l’impresa viene celebrata in tutto il mondo; i bambini di una scuola assegnano persino un nome all’alieno, Calvin, la cui crescita è impressionante: da organismo microscopico, Calvin muta rapidamente in un germoglio che interagisce con le dita di Hugh, almeno finché un malfunzionamento non lo lascia senza il suo clima ideale, rendendolo inerte. Lo scienziato riesce a rianimarlo con una stimolazione elettrica, ma Calvin – ora più simile a un invertebrato evanescente – reagisce con violenza, lo attacca e riesce a liberarsi. Il resto dell’equipaggio, guidato dal Dr. David Jordan (Jake Gyllenhaal) e dalla Dr.ssa Miranda North (Rebecca Ferguson), è costretto a dargli la caccia, osservando con orrore che Calvin cresce in modo spaventoso dopo aver “consumato” una creatura vivente, e può sopravvivere anche in condizioni estreme.

Il regista Daniel Espinosa non s’illude certo di perlustrare un territorio inesplorato, ma accoglie pienamente la natura derivativa del film, seguendo le tracce degli stessi Reese e Wernick: il risultato è una commistione tra horror e fantascienza che rievoca non solo Ridley Scott, ma anche il John Carpenter de La Cosa e persino un vecchio cult come Blob, contaminando la mattanza con grandiose partiture orchestrali in stile 2001: Odissea nello spazio. L’influenza di Kubrick si fa sentire anche nelle inquadrature dell’incipit (fin troppo pretestuose quando citano il maestro), ma il prologo sposta l’attenzione sui virtuosismi di Gravity e ci offre uno spettacolare piano sequenza a gravità zero, giocato intelligentemente sulla profondità di campo e sulla libertà dimensionale, dov’è impossibile distinguere il “sotto” dal “sopra”. Life è effettivamente impreziosito da notevoli capacità tecniche, e la prima mezz’ora si rivela magistrale: la suspense monta in progressione fino a esplodere nella scioccante sequenza del laboratorio, con un macabro sadismo che ricorda la stagione d’oro del fanta-horror.

Il resto rientra più stabilmente nella media, ma riesce a intrattenere con la genuinità di un b-movie che non si pone falsi obiettivi, e lavora su personaggi schematici senza approfondirne gli aspetti più interessanti (come l’odio di David per l’umanità e l’ossessione di Miranda per il controllo), evidenziandone così il ruolo puramente “funzionale” all’interno della vicenda. Non a caso, le loro scelte sembrano talvolta illogiche, mentre i dialoghi e le pause introspettive sono piuttosto deboli, come se gli sceneggiatori li considerassero un riempitivo inevitabile ma poco interessante rispetto alle manifestazioni dell’orrore e della tensione, vero nucleo del film. Ne deriva un piacevole contrasto con l’ambientazione pseudo-realistica di questo futuro prossimo, ben lontana dalla seminale cupezza di Terrore nello spazio e Alien, poiché contraddistinta da tecnologie credibili e architetture razionali: non è proprio un esempio di hard science-fiction, ma sicuramente Life non rinnega in toto le sue radici scientifiche.

A parte questo, però, la fedeltà di Reese e Wernick alle dinamiche dei b-movie persiste lungo tutto il corso della narrazione, epilogo compreso: il doveroso ribaltamento finale sancisce il trionfo dell’ignoto sulla ragione, attingendo a un retaggio fantascientifico che fa del catastrofismo apocalittico una regola avvincente e compiaciuta. Non certo imprevedibile, ma sempre godibilissima.

Vi invitiamo a scaricare la nostra NUOVA APP gratuita di ScreenWeek Blog (per iOSAndroid) per non perdervi alcuna news sul mondo del cinema, senza dimenticarvi di seguire il nostro canale ScreenWeek TV per rimanere costantemente aggiornati.

[widget/movie/34641]

[widget/artist/1485,46343,1472]