Il Diritto di Contare e la vera storia di Katherine Johnson

Il Diritto di Contare e la vera storia di Katherine Johnson

Di Filippo Magnifico

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“Tratto da una storia vera”. Molto spesso compare questa frase all’inizio di un film e leggendola si tende a dare per scontato che tutto ciò che viene mostrato sul grande schermo sia vero. Siamo sicuri? Se si escludono i documentari, ogni “storia vera” che arriva sul grande schermo è frutto di una sceneggiatura che tende a romanzare gli eventi, aggiungendo, togliendo e in certi casi cambiando piccole porzioni di racconto per renderle più avvincenti, più cinematografiche, in parole povere più appetibili per il pubblico. Per intenderci, l’essenza della storia è sempre quella ma, come le leggende che vengono tramandate oralmente, ci sono cose inventate che ci aiutano ad apprezzare di più il tutto.

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Tra i biopic arrivati recentemente sul grande schermo troviamo Il Diritto di Contare (titolo originale Hidden Figures), diretto da Theodore Melfi (St. Vincent) e candidato a ben 3 premi Oscar tra cui Miglior Film. La pellicola porta sul grande schermo la vera storia di tre donne afroamericane – Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughn (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monae) – che negli anni ’50 hanno avuto un ruolo determinante nel viaggio spaziale della capsula Friendship 7 della NASA, con a bordo l’astronauta John Glenn. Tre pioniere che hanno superato ogni forma di barriera, diventando un modello d’ispirazione per generazioni.

Va subito precisato che guardando il film si potrebbe pensare che l’esito positivo della missione sia solo ed esclusivamente merito loro ma non è così. Il lavoro è stato eseguito da team e ogni squadra era composta da moltissime persone, come ha sottolineato lo stesso regista “ci sono volute moltissime persone per rendere possibile tutto questo ma capisco che non è possibile fare un film con 300 personaggi. È semplicemente impossibile!“. Resta però innegabile e fondamentale il contributo di queste tre donne, che hanno dovuto lottare duramente per dimostrare il loro valore durante un periodo storico in cui i pregiudizi razziali erano ben presenti.

Ma cerchiamo ora di soffermarci su alcune parti della pellicola riguardanti Katherine Johnson (vera protagonista di questa storia), cercando di capire cosa rispecchia quello che è veramente successo e cosa, invece, è stato modificato per il grande schermo. Vi ricordiamo, ovviamente, che se non avete visto il film siete a rischio SPOILER.

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Una precisazione che va subito fatta è che in realtà il razzismo all’interno della NASA non era così presente come lascia intendere la pellicola. Come dichiarato dalla stessa Katherine Johnson:

No, non l’ho percepito alla NASA perché tutti erano impegnati con le loro ricerche. Avevi una missione e lavoravi per portarla a termine. Era importante fare il tuo lavoro. Non ho percepito razzismo. Sapevo che era lì, ma non l’ho notato.

Quello che vediamo nel film è una rappresentazione fedele dello spirito dell’epoca e per renderla ancora più concreta si è deciso di creare dei personaggi simbolo. Figure positive e, ovviamente, negative.

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Il personaggio interpretato da Kevin Costner è realmente esistito?

Non esattamente. Al Harrison è frutto della fusione di tre diversi direttori del centro di ricerca della NASA che hanno lavorato con Katherine Johnson. Il regista del film non era riuscito ad ottenere i diritti per usare un vero nome, quindi ha deciso di creare questo personaggio.

Il personaggio interpretato da Jim Parsons è realmente esistito?

No. Paul Stafford è un personaggio immaginario ed è stato creato come emblema di tutti gli atteggiamenti razzisti e sessisti profondamente radicati nella cultura degli anni ’50.

Il personaggio interpretato da Kirsten Dunst è realmente esistito?

Anche in questo caso la riposta è no. Vivian Mitchell è un personaggio immaginario, emblema di tutti i pregiudizi dell’epoca, in questo caso legati all’ambiente lavorativo. È la perfetta unione di alcune figure che hanno sul serio lavorato alla NASA.

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È vero che il padre di Katherine ha percorso 120 miglia per permettere a sua figlia di studiare?

Sì. I genitori di Katherine si erano accorti subito della sua intelligenza fuori dal comune. Era affascinata dai numeri e bruciò molte tappe scolastiche dimostrando enormi potenzialità. Nel posto dove vivevano, però, il percorso scolastico degli studenti afroamericano terminava verso i 13 anni. Joshua, il padre di Katherine, decise di spostarsi di 120 miglia, per permettere alla sua bambina di frequentare un’altra scuola. Affittò una casa per rimanere lì con la famiglia durante l’anno scolastico per poi tornare in primavera e non perdere il suo lavoro. Ha fatto questo per ben 8 anni, per permettere a Katherine e ai suoi fratelli di ultimare gli studi.

Katherine è stata sul serio scambiata per la donna delle pulizie la prima volta che ha incontrato i suoi colleghi?

No, è un elemento di finzione inserito per rendere ancora più concrete le barriere che hanno dovuto superare Katherine e le altre protagoniste della storia.

Katherine doveva sul serio correre da una parte all’altra della NASA per usare il bagno?

Non esattamente. In realtà un’esperienza simile è successa a Mary Jackson, interpretata nel film da Janelle Monáe. Mary stava lavorando ad un progetto con altri colleghi bianchi e non conosceva bene l’edificio in cui si trovava. Mary ha impiegato un bel po’ di tempo per trovare un bagno per donne di colore e nessuno sembrava disposto ad aiutarla. Va sottolineato che il film ha esasperato la situazione, nel lato est della NASA si trovavano anche bagni per persone di colore ma erano in ogni caso pochi.

Katherine Johnson ha addirittura detto di non aver notato che ci fossero bagni separati inizialmente. Questo perché i bagni per bianchi non erano segnati. Ci sono voluti anni prima che si rendesse conto che il bagno che stava usando non era “il suo”, a quel punto lei ha semplicemente deciso di ignorare i commenti e nessuno ha protestato ufficialmente.

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John Glenn ha sul serio chiesto a Katherine di ricalcolare i dati elaborati dal computer per la sua prima missione?

Sì. John Glenn, interpretato nel film da Glen Powell, ha chiesto un doppio controllo da parte di Katherine. Quello che vediamo nel film rispecchia in maniera abbastanza fedele quello che è successo.

Fonte: Historyvshollywood

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