Se gli americani dovessero elencare le storie più rappresentative del loro proverbiale “sogno”, quella di Viola Davis meriterebbe sicuramente una citazione. L’opportunità di ripercorrere la sua carriera ci viene offerta dall’uscita di Barriere, il film di Denzel Washington basato sull’opera teatrale di August Wilson: l’attrice interpreta Rose Maxson, ruolo che le ha garantito una nomination agli Oscar come Migliore Attrice Non Protagonista.
Vero e proprio esempio di self made woman, Viola Davis nasce in South Carolina nel 1965, ma cresce nel Rhode Island perché i suoi genitori si trasferiscono a Central Falls poco dopo la sua nascita. L’infanzia della piccola Viola è funestata da problemi economici, eppure la sua passione non ne risente: frequenta la Central Falls High School, che le permette di coltivare il suo talento per le arti performative, e poi si laurea al Rhode Island College nel 1988, specializzandosi in teatro. Dopo la laurea, Viola studia per quattro anni alla prestigiosa Juillard School di New York, e nel 1996 ottiene la tessera dello Screen Actors Guild (il sindacato degli attori cinematografici e televisivi) grazie a un singolo giorno di lavoro sul set de Il colore del fuoco, dove presta il volto a un’infermiera che passa una fiala di sangue a Timothy Hutton. Viene pagata 528 dollari: niente male per una piccola scena.
Negli anni successivi ricava grandi soddisfazioni dal palcoscenico, vincendo il suo primo Tony Award (l’Oscar del teatro) e un Drama Desk Award nel 2001, grazie al ruolo di Tonya in King Hedley II, e poi un altro Drama Desk Award nel 2004 per Intimate Apparel di Lynn Nottage. Nel frattempo, le sue apparizioni cinematografiche si intensificano: fra il 1998 e il 2002 lavora per tre volte con Steven Soderbergh (Out of Sight, Traffic, Solaris), e partecipa a film di grande notorietà come Kate e Leopold, Lontano dal paradiso, Get Rich or Die Tryin’, Syriana, World Trade Center e Disturbia, oltre alla prima regia di Denzel Washington, Antwone Fisher. Con la sua interpretazione ne Il dubbio (2008) ottiene una candidatura ai Golden Globe e agli Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista, pur avendo una singola scena nella parte di Mrs. Miller. È chiaro che Hollywood si sta accorgendo di lei.
Intanto, però, è ancora il teatro a riconoscere il suo talento: nel 2009 vince un altro Tony Award, stavolta per il ruolo di Rose Marxon nella nuova produzione di Barriere, lo stesso che interpreta nel film; sembra un ottimo viatico per la cerimonia di domenica. Comunque, le sue quotazioni sono in crescita anche sul grande schermo, e nel 2011 viene acclamata per la sua performance nel ruolo di Aibileen Clark in The Help, ma le nomination ai Golden Globes e agli Academy Awards non si traducono in altrettante vittore. In compenso, riceve due Screen Actor Guild Awards, e nel 2012 il Time la inserisce tra le persone più influenti del mondo.
Di fronte a questi risultati, è paradossale che la sua consacrazione nell’immaginario collettivo sia dovuto al piccolo schermo: nel 2014, Viola Davis ottiene il ruolo principale in How to Get Away with Murder, serie creata da Peter Nowalk e prodotta da Shonda Rhimes per ABC Studios. Il successo è immediato, al punto che Viola diventa la prima attrice nera (di qualunque nazionalità) a vincere un Primetime Emmy Award come Migliore Attrice Protagonista in una serie drammatica. Dopo l’Oscar del teatro, l’Oscar della televisione. In seguito lavora con Michael Mann in Blackhat, e interpreta la spietata Amanda Waller in Suicide Squad di David Ayer, secondo film del DC Extended Universe: possiamo quindi aspettarci di rivederla in altri cinecomic di questo universo narrativo, dato che un personaggio come Amanda – in quanto Direttrice dell’A.R.G.U.S. – intrattiene legami con molti supereroi e supercriminali della DC Comics.
Con Barriere ha già vinto il suo primo Golden Globe, un BAFTA Award e il terzo Screen Actors Guild Award: che sia la volta buona per l’Oscar? Difficile immaginare che un’attrice come Viola Davis resti a mani vuote, in fatto di Academy Awards…
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