T2: Trainspotting – La recensione del film di Danny Boyle

T2: Trainspotting – La recensione del film di Danny Boyle

Di Lorenzo Pedrazzi

Che fine ha fatto la generazione di Trainspotting? Smarrita e confusa, priva di un’identità sociale precisa (tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Generazione X”, reso popolare dal romanzo di Douglas Coupland), essa ha cercato la propria voce in quegli artisti e in quelle opere che hanno saputo ritrarne il disagio, come i Nirvana in ambito musicale o Doom Generation e lo stesso Trainspotting in campo cinematografico. Il film di Danny Boyle coagulava la sua insicurezza e il suo disorientamento in un crudo racconto a tinte lisergiche, dove il consumo di stupefacenti non era un mezzo per espandere la percezione, ma un sedativo per dimenticare le ansie del quotidiano e l’ombra della precarietà socio-economica; tale ribaltamento dell’utopia hippie – peraltro inserito in un’audace rilettura del cinema sociale britannico – non poteva che trovare terreno fertile negli anni Novanta, epoca conflittuale e indefinibile, vittima delle illusioni coltivate nel decennio precedente.

Trainspotting 2

Si dice che gli esponenti di questa generazione siano riusciti a conquistare una certa serenità professionale e familiare in età adulta, come millanta lo stesso Mark Renton (Ewan McGregor) all’inizio di T2: Trainspotting, non appena rimette piede a Edimburgo dopo vent’anni di assenza; ha vissuto ad Amsterdam, dove sostiene di avere una moglie e due figli. Spud (Ewen Bremner) dipende ancora dall’eroina, ha perso il lavoro di manovale in un cantiere e si sente inutile di fronte alle esigenze della sua ex compagnia e di suo figlio Fergus: di conseguenza, cerca di suicidarsi per auto soffocamento, prima che Renton lo salvi all’ultimo minuto. Spud gli ricorda che lui e Simon (Jonny Lee Miller) erano inseparabili, ma Renton sa bene che l’amico non lo accoglierà con gioia. Simon gestisce a tempo perso il pub di sua zia, anche se in realtà si guadagna da vivere con ricatti a sfondo sessuale e spaccio di cannabis. Quando Renton va a fargli visita, i convenevoli sfociano presto in una violenta colluttazione, dalla quale Mark si salva grazie alle cure di Veronika (Anjela Nedyalkova), la complice di Simon nei suoi ricatti. Quest’ultimo accetta le quattromila sterline che l’amico gli consegna come risarcimento, ma non è soddisfatto, anche perché progetta di aprire un bordello – mascherato da centro massaggi – dove Veronika lavorerà come tenutaria. Renton confessa di non avere figli, e che sua moglie lo ha lasciato: tanto vale che resti a Edimburgo per aiutare Simon nella sua impresa. Peccato però che Begbie (Robert Carlyle) sia appena fuggito di prigione, e non abbia alcuna intenzione di fargliela passare liscia per il raggiro di vent’anni fa.

T2 Trainspotting Official Trailer

Il ritorno di Trainspotting è sicuramente inquadrabile nella rielaborazione culturale degli anni Novanta (e del loro folclore) che ha caratterizzato il periodo recente, dove persino un decennio così tormentato emana un’aura d’innocenza e ingenuità rispetto ai traumi del post-11 settembre. Certo, nelle azioni di Renton e Sick Boy c’era ben poco candore, ma il loro sguardo sul mondo aveva qualcosa di leggiadro e scanzonato, come due avventurieri guasconi che si davano all’eroina. In T2, al contrario, si respira la disillusione dei quaranta-cinquantenni che ripensano con nostalgia a un passato irripetibile. E il film si nutre di quel rimpianto, ne fa il proprio codice visivo e narrativo: non si spiegherebbero altrimenti le numerose autocitazioni, o il feticismo di certe inquadrature che strizzano l’occhio ai vecchi fan per ricordare loro che, esatto, questo è pur sempre Trainspotting, ed è tornato fra noi nel 2017. Per Danny Boyle rappresenta un approdo sicuro dopo alcuni insuccessi commerciali (anche se Steve Jobs resta uno dei suoi film migliori), e il regista decide di gratificare il pubblico con immancabili sussulti di fan service. Non è così naïf da credere che tutto possa funzionare come allora, e infatti il monologo «Choose life» – aggiornato con riflessioni scontatissime sulla nostra contemporaneità – è recitato in modo ironico e autocosciente, con lo stesso disincanto di un adulto che rilegge una vecchia letterina indirizzata al suo primo amore. Non si può negare che T2 manchi di coerenza, in tal senso.

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Peccato però che non ci sia molto altro. La banalizzazione del rapporto fra i protagonisti, con Begbie relegato al ruolo di villain, sfocia in una resa dei conti da gangster movie che stona con le ambizioni satiriche del film, peraltro incapace di farsi “iconico” come il predecessore (ma era inevitabile). Il punto è che la sceneggiatura di John Hodge, ispirata a Porno di Irvine Welsh, scivola sin troppo nella farsa, nell’umorismo da commedia che tenta consapevolmente di strappare una risata, ma ottiene invece risultati stucchevoli o dissonanti, come nel breve segmento di Spud scatenato che fa il verso a Scorsese. Si assiste quindi alla normalizzazione di un film che per propria natura non meritava di essere “addomesticato”, soprattutto se consideriamo che T2 – oltre ad adottare dinamiche ben più commerciali e mainstream rispetto all’originale – predica il ritorno alle istituzioni tradizionali, con una retorica spiccia che non ci si aspetterebbe dal figlio di Trainspotting. Non aiuta il fatto che Boyle indugi in soluzioni visive fiacche o didascaliche (l’ombra del treno che scorre nel finale), ma il processo di omologazione passa anche da qui: il film si ripiega su se stesso, fagocita il suo passato ma non è in grado di restituirlo in una veste altrettanto innovativa. Lo spirito anarchico e guastatore del prequel era tutt’altra cosa.

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