Legion – La recensione della premiere: Chapter 1

Legion – La recensione della premiere: Chapter 1

Di Lorenzo Pedrazzi

Al netto di alcune nobili eccezioni che fanno capo ad Alan Moore, Frank Miller, Peter David e altri autori, il racconto supereroistico è mediamente caratterizzato da svariati fattori ricorrenti – in particolare la linearità narrativa e la distinzione manichea tra bene e male – che si ripercuotono giocoforza sulle trasposizioni cine-televisive, soprattutto quando tali prodotti, per ragioni di tempo o di opportunità, edulcorano e banalizzano le opere di partenza. La struttura si reitera instancabilmente di film in film, di episodio in episodio: si parte sempre da una situazione di relativa stabilità che l’antagonista minaccia di distruggere con atti di violenza e prevaricazione, ma l’eroe di turno riporta l’ordine attraverso una sequela di scontri fisici e/o psicologici con la sua nemesi. Noah Hawley, l’acclamato creatore di Fargo, è un narratore troppo raffinato per non sapere che i supereroi si affidano quasi esclusivamente a schemi ripetitivi (come le fiabe, i procedural e varie forme di serialità), ma è anche troppo ambizioso e creativo per sottostare ai dettami della tradizione. D’altra parte, al cospetto del cult dei fratelli Coen, come si è comportato? Ha recuperato le ambientazioni, le atmosfere e i toni del film originale per filtrarli attraverso la sua sensibilità, raccontando le sue storie. Era quindi inevitabile – ma anche auspicabile – che con Legion accadesse la stessa cosa.

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Quando parliamo di David Haller alias Legione, non abbiamo a che fare con il “canonico” eroe Marvel. Il personaggio di Chris Claremont e Bill Sienkiewicz è fondamentalmente un antieroe nell’accezione byroniana del termine, ovvero un eroe imperfetto che nasconde un lato oscuro, predilige la solitudine e non accetta i codici morali dominanti: non a caso, anche quando agisce per il bene, David si scontra con gli X-Men di suo padre Charles Xavier, cui rimprovera la militarizzazione dei giovani mutanti e l’incapacità di sortire un effetto concreto sul mondo. Non stupisce che abbia suscitato l’attenzione di Hawley, poiché Legione ha tutte le carte in regola per scardinare il racconto supereroistico “istituzionale”, azzerando l’universo dei mutanti (Legion è separato dai film degli X-Men) per approcciarlo da un’angolazione diversa.

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Il primo episodio della serie dimostra fin dall’inizio che lo sceneggiatore – qui anche regista – non intende ricalcare modelli precostituiti, almeno non nell’ambito degli show supereroistici. Perché la storia di David Haller (Dan Stevens) non comincia da una situazione di calma e stabilità, bensì dal caos; un disordine tutto mentale che emerge progressivamente nel corso degli anni, come possiamo vedere nella splendida sequenza di apertura dove il protagonista, restando sempre al centro della scena, vive momenti sempre più drammatici dall’infanzia sino all’età adulta, con un utilizzo sapiente del montaggio, dello slow motion e dell’accompagnamento canoro (Happy Jack degli Who). Ciò che ne deriva è una psiche frammentata, e infatti ritroviamo David in un ospedale psichiatrico, proprio il giorno in cui sua sorella Amy (Katie Aselton) va a trovarlo per il compleanno. Stando ai medici, David è schizofrenico, ma siamo sicuri che le sue visioni e le sue dimostrazioni di potere siano frutto di allucinazioni?

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Il racconto non è lineare, poiché Hawley lo parcellizza in una moltitudine di flashback, sogni, apparizioni misterose e sovrapposizioni improvvise che tolgono ogni punto di riferimento allo spettatore, costringendolo ad assumere il punto di vista “inaffidabile” di David: proprio come lui, non sappiamo se ciò che vediamo sia reale oppure no. E l’autore, nonostante la sua relativa inesperienza in campo registico, è bravo a sfruttare tutte le possibilità offerte dal quadro per indurre questo senso di ambiguità, spesso utilizzando sia la profondità di campo (occhio alle figure che appaiono sullo sfondo, magari nascoste in un angolino) sia i suoni extradiegetici per alimentare la confusione e lo smarrimento.. David è tormentato da un laido “Demone dagli Occhi Gialli” che lo scruta nelle sue visioni più inquietanti, dove spesso mette in pratica quegli straordinari poteri che ancora non sa di avere. Il risultato sa essere molto straniante, poiché negli ambienti asettici dell’ospedale si respira quell’aria grottesca che permeava molte scene di Fargo, e i contrasti cromatici – si pensi alla caratteristica felpa arancione di David – richiamano la stilizzazione grafica dei fumetti, ma anche le simmetrie di Wes Anderson e le atmosfere stralunate delle commedie indie. Al contempo, però, l’episodio sa anche riscaldarsi improvvisamente con bagliori da rom-com, come nella deliziosa sequenza musicale dove David e l’affascinante Syd Barrett (Rachel Keller) vivono la loro storia d’amore, cavalcando le note di She’s a Rainbow dei Rolling Stones.

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Per ragioni poco chiare, Syd non vuole essere toccata, e infatti si scatena il finimondo non appena David le sfiora le labbra per un bacio d’addio, prima che lei venga dimessa. Lo scambio di corpi e la successiva esplosione psichica (dovuta al fatto che Syd non è in grado di controllare i poteri di David) impongono un altro cambio di registro, quando l’episodio si tinge di horror e sfocia nell’umorismo paradossale, prima di assumere i tratti della spy story. Lenny Busker (Aubrey Plaza), fedele amica di David, si trasforma in un grillo parlante mentalmente instabile, e lui non sa più che pesci pigliare: l’unica certezza è che deve guardarsi le spalle. Se tutto questo è frammentario, poiché narrato attraverso un andirivieni temporale contaminato da visioni allucinatorie, la trama orizzontale comincia a delinearsi nel momento in cui David viene interrogato da una misteriosa organizzazione che dà la caccia ai mutanti, e che ha già compreso la sua natura peculiare. Hawley è bravo a caratterizzare i personaggi secondari tramite i loro tic compulsivi ed estetici, ma dimostra anche un notevole virtuosismo nella costruzione delle inquadrature, con due suggestivi piani sequenza e un uso intelligente dello slow motion applicato agli effetti digitali.

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Di fatto, questo Chapter 1 è un esperimento continuo dove i generi s’intersecano fra loro, la narrazione scarta in modo repentino e persino i limiti del quadro sono magmatici: accade allora che una sequenza onirica possa trasfigurarsi in un musical bollywoodiano, mentre l’aspect ratio cambia improvvisamente per darsi un tono più cinematografico, come nella scena del pedinamento. L’epilogo, quando Syd, Kerry (Amber Midthunder) e altri mutanti salvano David per condurlo da Melanie Bird (Jean Smart), si concede un passo leggermente più tradizionale, ma è solo per consentire alla trama di dipanarsi e lanciare un ponte verso i prossimi episodi; in realtà, anche la concitata scena d’azione che prelude all’incontro non è priva di lampi grotteschi, molto diversa dal piglio serioso che caratterizza i film degli X-Men.

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Se ne esce soddisfatti, frastornati e bramosi di un’altra dose, nella speranza che Legion prosegua il suo cammino di rottura, e riproponga i tòpoi del genere supereroistico-avventuroso solo in caso di stretta necessità. Per il momento sembra che Noah Hawley abbia confezionato un intrattenimento di altissima qualità, capace di far coincidere forma e contenuto in modo non dissimile dai fratelli Nolan (da soli o separati), come abbiamo visto in Memento, The Prestige e Westworld. Alla luce di tutto questo, Legion è già abbastanza “sgangherato e sgangherabile” da poter essere considerato un cult.

Voto: ★★★★★

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