Split – M. Night Shyamalan, James McAvoy e Anya Taylor-Joy presentano il film a Milano

Split – M. Night Shyamalan, James McAvoy e Anya Taylor-Joy presentano il film a Milano

Di Lorenzo Pedrazzi

Split, il nuovo film di M. Night Shyamalan, è stato presentato a Milano dal regista e dai due attori protagonisti, James McAvoy e Anya Taylor-Joy, giovane attrice di talento che molti ricorderanno in The Witch.

Al centro di questo affascinante thriller psicologico – cui non mancano sviluppi sorprendenti – c’è Kevin (McAvoy), un uomo che soffre di disturbo dissociativo dell’identità, ma in una forma decisamente estrema: i suoi alter ego sono infatti ben 23, e il 24° potrebbe emergere presto dall’ombra. Casey (Taylor-Joy) è un’adolescente chiusa ed emarginata che è stata rapita da Dennis, uno dei suddetti alter ego, insieme a due compagne di scuola: rinchiusa in una stanza, è costretta ad assistere alle mutazioni del suo carceriere, che assume diverse personalità a seconda della situazione. La ragazza deve quindi affrontare i tre alter ego dominanti di Kevin (ovvero Dennis, Patricia e il piccolo Hedwig) nella speranza di trovare una via d’uscita e capire per quale motivo sia stata rapita da lui…

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Split – come accade spesso nel cinema di M. Night Shyamalan – è spesso confinato in spazi chiusi e claustrofobici, ma questo non è casuale: «Mi interessano le limitazioni offerte dagli spazi chiusi» ha dichiarato il regista, precisando che tali costrizioni spaziali sono utili per limitare la consapevolezza dei protagonisti, come quando un personaggio crede di essere solo (in una casa o in una singola camera) ma non lo è affatto. A tal proposito, i film di Shyamalan sono strutturati accuratamente per generare la suspense, e il cineasta ha messo in chiaro che i suoi classici “colpi di scena” non sono la base fondante del suo cinema, bensì uno strumento integrato nella struttura del film e della narrazione: le informazioni su una determinata trama o su un personaggio vengono rivelate gradualmente, e «Il colpo di scena è il momento in cui l’informazione diventa reale», quello in cui viene esplicitata; «Si forniscono sempre più informazioni, fino al culmine finale». Peraltro, Shyamalan ha confessato che le sue fonti d’ispirazione per Split non sono state le più ovvie (come Identità di James Mangold), ma film decisamente più inaspettati: anzitutto Robert Altman per l’impiego degli zoom, oltre a vari film del cinema indipendente internazionale come Niente da nascondere di Haneke e Dogtooth di Lanthimos. Il regista ha citato anche la sua ammirazione per La grande bellezza di Sorrentino, che ha mostrato ad alcuni fan che – donando dei soldi in beneficienza – hanno ricevuto in premio la possibilità di vedere alcuni film con lui nel suo cinema. Ma qual è il suo film che ritiene sia stato maggiormente ignorato dal pubblico? «The Lady in the Water è il meno visto, un film bizzarro e peculiare. Non è un thriller psicologico, ma un fantasy per bambini. Lo considero molto personale, difficile da vendere».

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Split ha ovviamente richiesto un grande impegno da parte di James McAvoy, alle prese con la caratterizzazione di numerose personalità diverse: «Ogni lavoro può essere una sfida, ma [in questo caso] certamente mi sono dovuto preoccupare del fatto che tutti [gli alter ego] sembrassero differenti, con gesti e posture fisiche diverse». Le prove sono state fondamentali per sviluppare i personaggi, attribuendo a ognuno la propria personalità, sia da un punto di vista psicologico sia sul piano fisico. L’attore scozzese vanta ormai una grande esperienza in produzioni ad alto e basso budget, ma ha rivelato di non avere preferenze: «Mi piace tutto, anche perché i grandi budget non implicano necessariamente che ci siano meno idee, e i piccoli budget non implicano che ci siano meno ambizioni. Non vedo grosse differenze. Sono stato in fantastici film ad alto budget, e pessimi film a basso budget, dipende tutto dal regista, dalla sceneggiatura e da tutto il resto». Per quanto riguarda le sue fonti d’ispirazione, McAvoy ha confessato di non avere una gran cultura cinematografica, quindi l’ispirazione gli è arrivata direttamente dalla storia, non da altri film o altre performance. Alla domanda se ci siano alcuni alter ego tagliati in fase di montaggio, l’attore ha risposto di no: lui si è limitato a seguire la sceneggiatura, che era completa così com’era.

Dal canto suo, Anya Taylor-Joy si ritiene «molto fortunata» per gli sviluppi della sua nascente carriera, ma Shyamalan ha voluto precisare che non è soltanto fortuna: il regista ha elogiato la capacità dell’attrice di «aprire porte emotive», come sanno fare quegli esordienti che – al contrario di alcuni grandi attori già esperti – riescono a farci entrare dentro di loro. Taylor-Joy ha inoltre dichiarato che ravvisa molte similitudini tra Robert Eggers (il regista di The Witch) e Shyamalan, anche se quest’ultimo «è molto specifico», mentre Eggers – al suo primo film – aveva ancora bisogno di trovare se stesso, come lei. «Siamo grandi amici, ma a volte diventavamo isterici», mentre in Split «mi sono sentita molto al sicuro». L’impegno della giovane attrice, comunque, è stato intenso: «Quando facevo qualcosa, sentivo sempre se era allineata alla sua visione o se dovevo fare un’altra ripresa».

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Shyamalan ha speso parole di elogio anche per il costumista Paco Delgado, che «ha introdotto un gusto fantastico, ma è stata una vera sfida perché non volevamo che [Kevin] apparisse macchiettistico». La difficoltà maggiore è stata rappresentata dal fisico di McAvoy, piuttosto grosso e quindi difficile da adattare a personaggi come Hedwig e Patricia. L’attore scozzese ha ricordato che il costumista era reduce da The Danish Girl, quindi aveva esperienza nel vestire un uomo con abiti femminili. Se Dennis doveva essere costretto, imprigionato nei suoi abiti, con Patricia era necessario comunicare l’impressione che fosse arrabbiata perché obbligata a vivere nel corpo di un uomo.

Il regista ha inoltre lodato il produttore Jason Blum, un vero campione che «combatte per raccontare storie insolite», dato che «non ci sono molti paladini dei film originali a Hollywood». È stato un consigliere prezioso per lui, fin da The Visit, che gli era piaciuto molto: insieme, i due si erano recati presso Universal e avevano proposto il film allo studio, dando inizio a una proficua collaborazione. Entrambi sono interessati alle produzioni originali, ed è anche per questo che Shyamalan non ha mai realizzato un vero e proprio sequel: «Scrivere un sequel per me è difficile, poiché la gioia dello scrivere è nella scoperta». Certo, questa libertà sul grande schermo è sempre più limitata, e infatti il cineasta si è già avvicinato alla televisione con Wayward Pines: «La narrativa fondata sui personaggi si è spostata in televisione grazie alla serialità, e la qualità è cresciuta moltissimo». Se nel cinema hollywoodiano conta l’abilità nel marketing, in televisione si privilegia il “tono”, l’aspetto creativo. Shyamalan ha dichiarato che la televisione gli ha permesso di lavorare con attori, registi e sceneggiatori fantastici, come i fratelli Duffer, che poi hanno fatto Stranger Things. «L’aspetto con cui ho dei problemi è il fatto che sono un maniaco del controllo: nei film posso fare tutto, nelle serie tv invece no». Questa necessità di delegare una parte del lavoro ad altri, però, non gli impedirà di tornare sul piccolo schermo, dove spera di fare altre esperienze.

Tornando a Split, l’interesse del regista per il tema della personalità multipla nasce sicuramente dal caso di Billy Milligan (rapitore e violentatore di tre ragazze che fu assolto per infermità mentale in quanto affetto da disturbo dissociativo dell’identità), ma anche dai suoi studi di psicologia al college: la sua futura moglie era infatti una studentessa di psicologia, e Shyamalan seguiva i suoi stessi corsi universitari per corteggiarla! Inoltre, il tema gli pareva grandioso, anche perché «Nessuno aveva fatto il film definitivo sulle personalità multiple»; e lui, com’è successo in passato con i fantasmi o altri argomenti di grande popolarità, ha tentato di fare proprio quello.

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