Riverdale: Recensione del primo episodio della serie tratta dagli Archie Comics

Riverdale: Recensione del primo episodio della serie tratta dagli Archie Comics

Di Andrea Suatoni

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E’ iniziata il 26 Gennaio sul canale americano The CW la prima stagione di Riverdale, la serie tratta dai fumetti Archie Comics che proprio quest’anno compiono il loro 75simo anniversario (la serie arriverà a brevissimo sulla piattaforma Netflix per la distribuzione italiana).

Una serie a cavallo fra il teen drama più classico e tradizionale e il mistery alla Twin Peaks, in una formula che ricorda da lontano (ed in maniera meno pretenziosa) anche il geniale Desperate Housewives.
Riverdale è una città piena di misteri, dove ognuno potrebbe non essere quello che sembra e dove sono accaduti fatti che si preparano a sconvolgere l’intera comunità; comunità all’interno della quale un manipolo di ragazzi in piena esplosione ormonale affronta l’adolescenza attraverso trame da soap opera che tanto ricordano i carissimi The O.C. o Dawson’s Creek (e non solo).
C’è un po’ di tutte le serie precedenti di simile genere in Riverdale: potremmo citare anche Veronica Mars, addirittura Beverly Hills 90210 (e non solo perché Luke Perry interpreta il padre del protagonista), sicuramente Gossip Girl; tutti gli stereotipi più succulenti dei teen drama per eccellenza sono fusi insieme per creare qualcosa che forse, in definitiva, vuole quasi arrivare ad essere un thriller.

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“IL MIGLIORE AMICO GAY NON E’ PASSATO DI MODA?”

Riverdale riassume davvero tutti gli snodi di trama principali già visti nelle serie da cui inevitabilmente prende spunto, ma lo fa più omaggiando maliziosamente che copiando. Abbiamo la migliore amica del protagonista innamorata di lui, la newyorkese ex benestante figlia di un industriale decaduto (e bitch inside) e l’immancabile triangolo fra le due ed il personaggio principale, il migliore amico gay della protagonista (riadattato al contesto televisivo più libertino di un 2017 ormai all’avanguardia sull’argomento), la sordida storia fra alunno e professoressa, i genitori dei protagonisti (ovviamente divorziati e liberi da legami) con delle questioni romantiche irrisolte, la queen bitch a capo delle cheerleaders, il sogno artistico da portare avanti a qualsiasi costo, familiari vari ricoverati in istituti psichiatrici, madri maniache del controllo e molti, molti altri cliché stereotipati che vengono gettati nella mischia in maniera molto più calcolata di quanto si possa credere ad un primo sguardo.

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“I BACI LESBO NON FANNO PIU’ SCANDALO DAL 1994”

In verità Riverdale gioca moltissimo con le storyline classiche, adattandole ad una realtà attuale ed estremamente dinamica: nel primo episodio succede letteralmente di tutto, gli avvenimenti si succedono al ritmo di ciò che in un classico Dawson’s Creek sarebbe accaduto in una stagione intera. Tutti quegli stereotipi che abbiamo visto sfilare sullo schermo sono usati proprio in quanto tali, a testimoniare il carattere di una serie teen che riporta in auge tutto il bagaglio di cui deve forzatamente farsi carico ma liberandosene immediatamente: già dal prossimo episodio, le dinamiche saranno costrette a cambiare, sia perché gli showrunner sarebbero altrimenti costretti a ripetersi sia perché l’elemento mistery si farà via via più pressante. Un ragazzo a Riverdale è morto, e la sua dipartita è legata a doppio filo a praticamente tutti i protagonisti in gioco: il finale del primo episodio spalanca le porte del thriller sulla cittadina, che d’ora in poi, in puro stile Twin Peaks, sarà costretta a rivelare i sordidi segreti che nasconde (e che in parte lo spettatore già conosce).

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“JUSTIN GINGERLAKE”

La rivincita dei ginger è alle porte: il protagonista principale e la principale antagonista vantano una folta chioma rossa, spesso al centro delle sardoniche e velocissime battute in bocca ai personaggi (specialmente ai personaggi di Veronica Lodge e Cheryl Blossom), che a voler fare un ulteriore paragone seriale somigliano alla lontana a quelle di Gilmore Girls (ne leggete un assaggio nei titoli dei paragrafi del nostro articolo). Il protagonista K. J. Apa, semiesordiente, ben si presta ad interpretare il sexy protagonista Archie: impacciato nei rapporti ma almeno stavolta lontano dagli stereotipi del personaggio imbranato, in quanto eccelle praticamente in tutto. Le bitch della serie, le Veronica e Cheryl che abbiamo già nominato, sono perfette nella loro già iniziata battaglia per la supremazia (Camila Mendes e Madelaine Petsch, anche loro alle primissime esperienze in video) nelle quali la candida Betty (una leggermente più navigata Lili Reinhart, e la differenza è in effetti sensibile) si muove a braccio, ma la star della serie, pur non presente in maniera massiccia sullo schermo, è Luke Perry: il bel tenebroso per eccellenza interpreta il padre di Archie, in una evoluzione del ruolo che profuma anch’essa di gioco con gli stereotipi (qualcuno direbbe anche di metafora). Unica nota negativa l’omosessuale Kevin Keller, che finora sembra buttato nella mischia solamente per coprire l’immancabile quota gay del cast e risulta quasi in una macchietta comica; sui personaggi di Josie e Jughead (che è la voce narrante dell’episodio ed è interpretato dal Cole Sprouse di Zack e Cody), solamente accennati per ora, aspettiamo a pronunciarci fino ad una migliore definizione degli stessi.

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In definitiva, dopo i 40 e rotti minuti di Riverdale, sicuramente vi sarete divertiti. Non c’è praticamente nulla che spinge a spalancare la bocca e ad urlare all’innovazione del mondo seriale, ma non è questo che la serie si ripropone (e tantomeno si ripropone di essere fedele ai fumetti da cui è tratta, di cui riprende semplicemente il nome ed i personaggi); si tratta di un prodotto destinato al mondo dei teen drama, ma con quel qualcosa in più che riesce ad interessare anche chi non si trova a proprio agio con amori adolescenziali e disagio giovanile. Anche solamente le fantastiche e numerosissime citazioni pop valgono da sole la visione, da Mad Man ad Outlander a Mean Girls e a tutte le serie che abbiamo citato nel nostro articolo (ripetiamo, le somiglianze che ad un occhio superficiale potrebbero far gridare alla mancanza di originalità sono calcolate e rielaborate al millimetro, come l’indugiare della telecamera sul cartello alle porte della città), ed in tutta sincerità, anche se sicuramente Riverdale non vincerà la palma di serie dell’anno… Non vediamo l’ora di vedere il prossimo episodio.

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