When We Rise – Dustin Lance Black presenta la miniserie al Roma Fiction Fest

When We Rise – Dustin Lance Black presenta la miniserie al Roma Fiction Fest

Di Leotruman

Il Roma Fiction Fest, giunto alla sua decima edizione, ospita oggi un importante evento. L’anteprima mondiale di When We Rise, miniserie in onda a partire da febbraio 2017 su ABC negli USA, e certamente in contemporanea o poco dopo anche nel nostro paese.

La miniserie segna la reunion di Gus Van Sant, regista della premiere di due ore e produttore esecutivo, e dello sceneggiatore Dustin Lance Black, sceneggiatore e creatore della serie, dopo il film Milk, che fece vincere a Black l’Oscar per la miglior sceneggiatura.

Il progetto composto da otto episodi è stato in fase sviluppo per diverso tempo, ma solo nel dicembre del 2015 ha ottenuto il via libera per la fase di riprese. When We Rise narra le battaglie politiche e personali, le battute d’arresto e i trionfi delle famiglie degli uomini e delle donne LGBT che hanno contribuito a lanciare il movimento americano per i diritti civili dalla sua infanzia turbolenta nel 20° secolo fino ai successi odierni. Quest’opera in costume racconta la storia del movimento dei diritti gay, a partire dai moti di Stonewall nel 1969.

Nel prestigioso cast troviamo Guy Pearce, Mary-Louise Parker, Whoopi Goldberg, Rosie O’Donnell, Michael Kenneth Williams e David Hyde Pierce.

A Roma è sbarcato proprio Dustin Lance Black per presentare la sua serie, e lo abbiamo incontrato durante un’intensa conferenza stampa dove si sono toccate tematiche molto rilevanti.

Che ne pensa degli ultimi anni e dei passi fatti per i diritti delle persone LGBT?

Dustin Lance Black: Sono convinto che la cosa più difficile per le persone LGBT, anzi per tutte le persone che vengono trattate male perché considerate diverse, sia sentirsi isolati, sole. L’isolamento può portare a pensare a cose terribili come il suicidio, che è una cosa tragica. Il lavoro che svolgo ha l’obiettivo di far sentire le persone meno sole, per far capire loro che nel mondo ci sono persone che non solo le capiscono, ma che combattono per loro, per la loro libertà, perché la loro vita possa essere migliore. È vero, progressi ne sono stati fatti, però ogni volta che c’è un progresso purtroppo a volte vi è anche il rischio di tornare indietro. L’importante è che si continui a lavorare, per mantenere e proteggere i diritti ottenuti. È un momento storico dove una serie tv come questa diventa necessaria.

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Esiste un gruppo LGBT che ha sostenuto Trump, qual è la sua opinione a riguardo?

Trump è un bigotto. Non è solo contro il popolo LGBT, ma contro le minoranze razziali, i diritti delle donne. Non è la prima persona di questo tipo che sale sul palcoscenico pubblico. Ma possiamo, anzi dobbiamo andare ad attingere dalla storia e capire come combattere tutto questo senza perdere i nostri diritti. Si può pensare di parlare di politica e di legislatura con persone che non la pensano come noi, ma non si cambia in questo modo la gente. Bisogna cambiare il loro cuore. Per farlo l’unico modo è di far raccontare le proprie storie personali. Dobbiamo raccontare le nostre storie personali per combattere un’amministrazione carica di odio. Oggi giorno non solo negli USA ma nel mondo, accade tutto questo per ogni gruppo minoritario. Ricordiamolo: tutti sono colpiti, tutti possiamo ritrovarci in minoranza, dipende semplicemente “da come tagli la torta” e da che prospettiva la guardi. Bisogna utilizzare la propria storia e il proprio cuore come una spada.

Se lei fosse presidente degli USA, quale sarebbe il suo primo provvedimento?

Il primo provvedimento sarebbe la parità di salario e diritto al lavoro per tutti, a prescindere dal genere, sesso, colore della pelle, da chi ami, devi avere il diritto di sostenerti e di sostenere la tua famiglia. Oggi negli USA è ancora possibile in molti stati essere licenziati solo perché si è gay o lesbiche. A parità di mansioni, è giusto avere lo stesso stipendio, qualsiasi tipo di persona tu sia. Partendo da questo si potrebbe già iniziare a lavorare sul piano della parità.

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Se conoscesse un ragazzo che inizia a porsi dubbi sulla propria sessualità, quale sarebbe il suo primo consiglio?

Per prima cosa vorrei fargli capire che non è solo. Ci sono stati antenati, uomini e donne, che hanno combattuto per l’uguaglianza e la sua sicurezza, e continuano ad esserci. Ho scritto un discorso che sentirete nel pilot, che afferma che essere isolati è pericolosissimo, in particolare per chi vive in aree più conservatrici. Queste persone non devono rimanere da sole. Come secondo step lo spingerei a fare coming out. Ogni persona che rimane chiusa in sé stessa, sviluppa piccole ferite che si accumulano. Proprio per questo, per quanto sia coraggioso, il coming out è importante e paga a lungo termine

“L’arco della storia è lungo, ma piega verso la giustizia”, è una frase del pilot. È un segnale di speranza?

Purtroppo no. È vero, l’arco storia lungo, ma non possiamo dimenticare che è anche un pendolo, che oscilla avanti e indietro. Bisogna stare attenti, bisogna combattere, per evitare che si torni indietro, come sta avvenendo ora. Dobbiamo lottare per conservare i diritti, non solo per le persone LGBT, ma anche per le donne, le minoranze razziali, per ogni persona che viene trattata in maniera discriminatoria, a seconda del paese da cui viene, o dal Dio in cui crede.

Com’è stato ritrovarsi con Gus Van Sant?

È da molto tempo che volevo raccontare questa storia, che in realtà è molto diversa rispetto a Milk. In quel caso parlavo di una sola persona, mentre qui di tante persone diverse, che collaborano e lavorano insieme. Lavoro a questo progetto da quattro anni. Un anno l’ho impiegato per la ricerca. Ho cercato storie vere, volevo che le persone che venissero raccontate in questa serie fossero vere, che provenissero da vari movimenti. Volevo narrare di persone che formavano insieme una famiglia. Allo stesso tempo volevo parlare di chi è riuscito ad andare avanti, in modo che tutti sapesse che ce la si può fare. Si lotta, ma si può continuare a vivere, mentre tante volte le persone si impegnano, lottano, e cadono purtroppo [ndr. come in Milk].

GUARDA IL PRIMO TRAILER DI WHEN WE RISE

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Non avevo Gus in mente, ma è stata poi la prima persona che ho avuto in mente come regista perché è stato bellissimo collaborare per Milk. Sono in realtà contento che gli altri episodi siano stati diretti da tante persone diverse. When WE rise, punto molto sul WE, sullo sforzo collaborativo, e ho voluto rappresentare la diversità anche nelle persone che hanno lavorato alla serie: gay, etero, bianchi, persone di colore, donne, ecc… Lo stesso vale per gli attori, e per tutti quelli che ci hanno lavorato. Volevo rappresentare la varietà, a livello di regia, cast, produzione, e dire che realizzato questo progetto da solo sarebbe una bugia.

Comprendiamo l’importanza coming out, ma è difficile farlo per le persone pubbliche, atleti, attori, che hanno paura di perdere il consenso dei fan. Da dove deriva questa paura?

Ad Hollywood la paura deriva dai manager, non dagli studios e dagli executive, o dagli attori. Sono gli agenti e manager il problema, perché appartengono ad una generazione che intepretava un coming out in modo negativo. Loro mettono sotto contratto gli attori, utilizzano soldi ed energie per farli diventare popolari, e temono poi di non avere un ritorno sull’investimento, e cercano di frenare il coming out. Sta iniziando a venir fuori che tutto questo non è vero, visto che molti attori e attrici lo fanno e la loro carriera non ne risente.
Ma il coming out richiede molta forza e coraggio, per questo dico alle persone che non sono obbligate a farlo se non la sentono. Ma se lo fanno, ricordo loro che saranno fonte di ispirazione per più di una generazione.

Negli ultimi anni è cambiata la rappresentazione dei personaggi LGBT nei prodotti d’intrattenimento. Cosa ne pensa? 

Sì, è cambiato molto nei film e nelle serie tv. Nel cinema si è cominciato a riscontrare anche il fatto che era un settore che poteva portare utili e profitti. Secondo me il progresso maggiore, ad un ritmo più accelerato, è quello che si è visto in televisione. È molto interessante sapere che si è andati oltre il classico stereotipo degli uomini bianchi gay. Ora sono tante altre le storie che vengono raccontate, con protagonisti trans e di altre minoranze. Credo che anche per questa serie lo scopo sia far vedere questo.

Una delle protagoniste si chiama Roma, è una coincidenza che la première mondiale si tenga proprio nella nostra città?

Sapete, è proprio il suo vero nome Roma! No, non credo sia una coincidenza il fatto che la serie abbia la sua anteprima qui. Nella serie Roma viene da una famiglia di origine italiana, una famiglia che sente in modo molto forte i legami, e questo lo si può vedere proseguendo la visione degli episodi. Mi è piaciuta molto l’idea di presentarla qui, perché amo moltissimo il calore delle famiglie del vostro paese. Qui si capisce l’importanza della famiglia, ma sono venuto a presentare alle famiglie italiane la “mia famiglia”. Sono venuto a dirvi “Posso venire a farvi conoscere anche le mie famiglie?
È vero, l’Italia deve ancora fare parecchia strada nel campo dei diritti LGBT, ma ci possiamo arrivare anche… se ci facciamo un bicchiere di vino insieme!

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Fonte: ScreenWeek

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