Westworld – La recensione del season finale: The Bicameral Mind

Westworld – La recensione del season finale: The Bicameral Mind

Di Lorenzo Pedrazzi

The Bicameral Mind è la degna conclusione di una prima stagione memorabile, dove Westworld raggiunge l’apice del suo discorso sull’autocoscienza e sul ruolo del dolore nella conquista del sé…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

L’Uomo in Nero (Ed Harris) interroga Dolores (Evan Rachel Wood) circa il significato del labirinto, innescandole il ricordo del suo rapporto con Arnold (Jeffrey Wright). Dopo averla costruita, Arnold cercò di infonderle l’autocoscienza attraverso una scalata lineare, ma si rese conto che quell’approccio era sbagliato: il viaggio per la consapevolezza di sé somiglia più a un labirinto in cui si deve raggiungere il centro, quindi Arnold – ispirandosi al giocattolo appartenuto al suo defunto figlio – creò un percorso finalizzato a sviluppare l’autocoscienza di Dolores per mezzo della voce interiore, sperando che un giorno lei l’avrebbe sostituita con la sua. Consapevole di non poter raggiungere questo obiettivo prima dell’apertura del parco, Arnold le ordinò di sterminare gli altri host con l’aiuto di Teddy (James Marsden), poi di ucciderlo e di togliersi la vita. Arnold – consumato dalla sofferenza per il figlio – era disposto a morire pur di non costringere le sue creature a vivere come schiave. Tutto questo, però, non impedì l’apertura del parco, poiché Robert Ford (Anthony Hopkins) riuscì a cavarsela anche senza di lui: ripristinò gli androidi e li imprigionò nei rispettivi loop.
L’Uomo in Nero è infuriato per la mancanza di risposte, ma Dolores lo avverte che presto il suo amato William (Jimmi Simpson) interverrà per salvarla. L’Uomo in Nero le racconta quindi il resto della storia di William, che trascinò Logan (Ben Barnes) alla ricerca di Dolores e, lungo il cammino, massacrò un’altra guarnigione di Confederati. Non trovandola, si spinse fino ai confini del parco, mutando la sua natura in modo sempre più brutale. Dopo aver costretto Logan a salire nudo su un cavallo, gli disse che aveva intenzione d’impadronirsi della società, Delos, e comprare le quote di maggioranza del parco. In seguito, William tornò a Sweetwater e rivide Dolores, ma capì che lei aveva ricominciato il suo loop e non ricordava nulla del loro amore. L’Uomo in Nero rivela quindi di essere William, e di averla seguita per tutti quegli anni nel suo viaggio verso Escalante. Stavolta sperava di scoprire qualcosa di nuovo, ma lei non ha nulla da offrirgli, quindi si prepara a ucciderla. Dolores però reagisce, è visibilmente cambiata, e riesce a disarmarlo facilmente, salvo poi esitare un secondo prima di sparargli, e permettendo così a William di pugnalarla allo stomaco. Teddy, che aveva rotto il suo loop per ritrovare Dolores, interviene in suo soccorso, spara a William e poi porta via la ragazza. Le pallottole non feriscono l’Uomo in Nero, ma sono sufficienti a rallentarlo. Sul posto compare Ford, che gli rivela la verità: non c’è alcun significato nascosto nel labirinto, almeno non per lui, poiché fu progettato per Dolores. Intanto, Teddy porta Dolores nel posto dove le montagne incontrano il mare, da loro favoleggiato quando stavano insieme. Sulla spiaggia, la ragazza muore tra le sue braccia mentre Teddy invoca un domani migliore, e a quel punto la scena si blocca: un applauso scroscia dagli spettatori che hanno assistito a questo momento, seduti sulle sedie disposte lungo la spiaggia. Ford li ringrazia per aver partecipato alla presentazione del suo nuovo arco narrativo, di cui faceva parte l’intera scena. Mentre gli ospiti si dirigono al rinfresco, Ford fa portare Dolores in laboratorio.
Parallelamente, Maeve (Thandie Newton) arruola Hector (Rodrigo Santoro) e Armistice (Ingrid Bolsø Berdal) per aiutarla a uscire dal parco, con l’assistenza di Felix (Leonardo Nam). Sylvester (Ptolemy Slocum) l’avverte che qualcuno ha modificato la sua programmazione per consentirle di svegliarsi dallo sleep mode, ma lei lo ignora. Raggiunti i sotterranei, Maeve dice addio a Clementine (Angela Sarafyan) e chiede a Felix di riparare Bernard, che giace a terra con una pallottola in testa. Bernard analizza Maeve e le rivela che anche la sua fuga fa parte di una narrazione predefinita, ma lei invece sostiene di agire di sua volontà, e prosegue con il suo piano. Felix guida gli host nei laboratori di un altro parco, Samurai World, ma la sicurezza interviene. Hector e Armistice fanno strage delle guardie, restando indietro per tenerle occupate. Maeve raggiunge l’ascensore con Felix, che le consegna la posizione di sua “figlia”. Lei lo ringrazia («Sei un terribile essere umano, e lo intendo come complimento») e scende nella stazione, dove sale su un treno in partenza. Vedendo una madre con la sua bambina, però, ci ripensa: scende dal vagone e rientra nel parco per cercare la figlia, proprio nel momento in cui un blackout colpisce la stazione.
Lee (Simon Quarterman) si reca nel sotterraneo per recuperare l’androide su cui Charlotte (Thessa Thompson) ha caricato i dati del parco, ma l’area è completamente vuota.
Dolores si risveglia nel laboratorio, dove trova Bernard e Ford. I due host lo accusano di aver sempre soffocato i segnali di autocoscienza degli androidi, ma Ford rivela loro che invece ha fatto di tutto per proteggerli. Arnold non aveva capito che gli host andavano addestrati contro la minaccia degli umani, quindi lui ha trascorso gli ultimi trent’anni preparandoli in tal senso, convinto che l’autocoscienza dei robot sia il prossimo passo nell’evoluzione umana. Inoltre, Ford svela che Dolores è in realtà Wyatt: Arnold fuse le loro personalità per darle il potere di distruggere il parco. Ora la scelta è sua, quindi Ford le lascia la pistola che usò per uccidere se stessa e Arnold, e starà a lei decidere cosa farne. La ragazza si rivede mentre parla con Arnold, ma capisce che la voce nella sua testa non appartiene al creatore, bensì a lei stessa: in questo modo trova il centro del labirinto e acquisisce definitivamente coscienza di sé.
Ford torna dai suoi ospiti e comincia ad arringarli, comunicando che nel suo nuovo arco narrativo tutti i partecipanti saranno dei giocatori attivi. Dolores si avvicina silenziosamente, pistola in mano, e spara a Ford in testa; poi comincia a massacrare gli altri, che fuggono terrorizzati sotto gli occhi di Teddy e Bernard. William, poco distante, sta bevendo da solo, e vede un esercito di host emergere dalla foresta. Uno di essi gli spara a un braccio, e William sorride: Westworld non è più un gioco.

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L’emancipazione del post-organico
The Bicameral Mind prende il titolo dalla “teoria del pensiero bicamerale”, esposta nel terzo episodio di Westworld: stando ai sostenitori di questa idea, lo sviluppo di un pensiero cosciente è stato preceduto da un’impostazione mentale completamente diversa, basata su voci interiori che venivano attribuite agli dei; a partire da queste premesse, Arnold crede di poter coltivare l’autocoscienza degli host implementando la sua voce nella loro programmazione, con la speranza che – dopo aver salito un’ideale “piramide” composta da quattro scalini fondamentali (memoria – improvvisazione – egoismo – autocoscienza) – gli androidi acquisiscano un monologo indipendente, sostituendo la propria voce a quella del creatore. Di fatto, Jonathan Nolan e Lisa Joy strutturano la prima stagione della serie come un lungo e articolato percorso che conduce a questo risultato, evidente nella scena in cui Dolores parla con Arnold (o meglio, con la voce interiore dello scienziato) e improvvisamente quest’ultimo viene rimpiazzato da una “copia” della stessa Dolores: la ragazza è riuscita a conquistare il pensiero autocosciente, e da ora in poi le sue azioni saranno guidate soltanto dalla sua volontà, seguendo quel monologo interiore che ci accompagna in ogni momento della nostra vita. La differenza è che tale percorso non è una piramide da scalare, bensì un labirinto di cui trovare il centro; ovvero, una ricerca interiore nel profondo di se stessi, non verso l’alto.

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Questi primi dieci episodi, insomma, coincidono con la genesi della rivoluzione delle macchine, attraverso le origini della sua istigatrice. È una reazione inevitabile di fronte agli abusi di un burattinaio che pretende di controllare qualunque cosa, in un teatrino dove persino la ricerca della libertà è una messinscena confezionata ad arte dal demiurgo: ogni passo di Dolores era stato già previsto, faceva parte dell’ambiziosa storyline di Robert Ford per la liberazione degli host, e l’epilogo sulla spiaggia – con lo stucchevole monologo di Teddy mentre stringe fra le braccia la sua amata – è uno sberleffo rivolto all’intrattenimento tradizionale, patinato e stereotipato, figlio di modelli ormai logori ma ancora utilizzati. Pur morendo, Ford è consapevole che il suo piano ha avuto successo. Analogamente, Maeve scopre che anche la sua libertà è un inganno, e che anche lei seguiva una sceneggiatura ben precisa; non a caso, a un passo dalla fuga, decide di tornare indietro per ritrovare sua “figlia”, secondo le logiche del feuilleton. Westworld si conferma un prodotto dove non è mai possibile isolare la realtà dalla finzione, e la verità definitiva è una chimera irraggiungibile: c’è sempre qualcosa di più vasto e ignoto da scoprire, oltre i confini del mondo conosciuto. La lezione di Philip K. Dick emerge soprattutto da quest’ambiguità.

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Ne consegue che la finzione può irrompere nel mondo reale, come accade all’arco narrativo concepito da Ford, che si concretizza nelle azioni di Dolores: fusa con Wyatt, la ragazza profetizza l’arrivo di una razza superiore che soppianterà l’uomo nel dominio della Terra, proprio come sosteneva Wyatt in relazione agli Stati Uniti e ai suoi occupanti (i nativi e i coloni). Evan Rachel Wood è bravissima a indurire il suo volto nella maschera di una donna che un tempo era dolce ed empatica, ma è stata temprata dalla sofferenza fino a diventare un’omicida di massa. Perché uno dei temi fondamentali di Westworld è proprio questo: la coscienza di sé matura attraverso la sofferenza. Vale per Dolores come per William, corrotto dal viaggio ai margini del parco, dall’arroganza di Logan e dalla consapevolezza che Dolores stava vivendo un loop inesauribile, quindi si era dimenticata di lui e del loro amore. William è l’unico a gioire di fronte alla sommossa degli host: voleva che il parco diventasse più realistico e pericoloso, come il mondo “là fuori”, ma con la variante dell’imprevedibilità e dell’eccitazione avventurosa. È stato accontentato, e ora potrà vivere l’esperienza che tanto sognava.

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L’insurrezione nasce dall’emancipazione di Dolores, creatura partorita dall’ingegno umano che ha saputo sfruttare il proprio pensiero indipendente per “ri-creare” se stessa, reinventandosi come un’entità autonoma. L’assoluto razionalismo di Jonathan Nolan è palese, come dimostra anche il commento di Ford circa la Creazione di Adamo di Michelangelo: «Il potere divino non proviene da una forza superiore… ma dalla nostra mente». Tale punto di vista lo accomuna a suo fratello Christopher, il quale però – se consideriamo un film come Interstellar – è ben più positivista, e guarda al progresso con maggior fiducia. Ma in Westworld il progresso genera alienazione e sopraffazione, forzando le vittime a reagire con violenza alle angherie dei carnefici.

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The Bicameral Mind smentisce quindi i dubbi degli scettici sulla gestione della trama orizzontale, che si rivela intelligente e misurata. Jonathan Nolan e Lisa Joy non tradiscono la fiducia dello spettatore, ma riportano l’ordine nel caos, fornendo risposte e spiegazioni senza scadere nel didascalico. Restano alcune domande in sospeso (che fine ha fatto Stubbs? E chi ha scritto il “copione” di Maeve?), ma la seconda stagione promette di espandere il discorso ben oltre i confini del parco, proseguendo sulla strada di un intrattenimento raffinato che sa prendersi i suoi tempi senza mai girare a vuoto. Raramente si è vista sul piccolo schermo una simile densità tematica unita a un apparato visivo così elegante: se aggiungiamo la qualità delle interpretazioni e la capacità di rinnovare continuamente i suoi temi (spesso ramificandoli), non c’è dubbio che Westworld imponga nuovi standard sulla fantascienza televisiva, e non solo.

La citazione:
«I ricordi sono il primo passo per la coscienza: come fai a imparare dai tuoi errori se non puoi ricordarli?»

Ho apprezzato:
– L’ambiguità costante tra realtà e finzione
– Il talento nel gestire i temi della serie, riannodandoli in un epilogo coerente
– La capacità di rispondere a molte domande in modo non didascalico
– La maturazione parallela di William e Dolores attraverso la sofferenza
– Le interpretazioni di Evan Rachel Wood, Ed Harris e Anthony Hopkins
– L’ottima confezione tecnica e visiva

Non ho apprezzato:
– Nulla di rilevante

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