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The Punisher – Kurt Sutter spiega perché la Marvel rifiutò il suo copione

Pubblicato il 30 dicembre 2016 di Lorenzo Pedrazzi

Ci sono voluti ben tre tentativi prima di realizzare una degna versione in live-action del Punitore, acclamato nella seconda stagione di Daredevil grazie all’interpretazione di Jon Bernthal e alla caratterizzazione psicologica che ne hanno dato gli sceneggiatori. Sull’onda del suo successo, Frank Castle sarà anche protagonista di una nuova serie Netflix, intitolata ovviamente The Punisher, le cui riprese sono in corso a New York.

Prima del Marvel Cinematic Universe, però, la situazione era ben diversa: tra il 2004 e il 2008 ci furono vari tentativi di realizzare un sequel del film con Thomas Jane (poi cancellati in favore dello sfortunato reboot con Ray Stevenson), e fu Kurt Sutter a scrivere la sceneggiatura di quell’ipotetico progetto. La Marvel respinse il copione, e non se ne fece più nulla.

Ebbene, il creatore di Sons of Anarchy e The Bastard Executioner (nonché sceneggiatore di The Shield) è stato intervistato da Looper, cui ha rivelato per quale motivo la Casa delle Idee rifiutò la sua proposta:

Sono un fan della Marvel, ma non sono cresciuto leggendo fumetti. Non sono entrato in quel mondo prima di 15 anni fa, quando ho cominciato a interessarmi ai graphic novel. Ed è successo a Parigi, perché la loro industria dei romanzi grafici è decine di anni più avanti rispetto alla nostra! Ma non mi rendevo conto che non ci si potesse prendere delle libertà con alcuni dei personaggi e alcuni dei loro tratti, perché sono ciò che sono. Sono molto derivativi, sono stereotipati, questo è il tizio che fa questa cosa, e quello è il tizio che fa quell’altra cosa… quindi sono bidimensionali per una ragione: è lo scopo che servono. Quindi cercavo di espandere l’Universo Marvel in una direzione in cui non si sarebbe dovuto espandere.

A dire il vero, parlare di “bidimensionalità” è una generalizzazione ingiusta, poiché svariati personaggi Marvel (basti pensare all’Uomo Ragno) non sono affatto monolitici e bidimensionali, ma d’altra parte Kurt Sutter ha ammesso di non conoscere a fondo il mondo dei fumetti. Comunque, lo sceneggiatore ha spiegato ciò che tentò di fare con il Punitore:

Stavo cercando di focalizzarmi sull’emotività di questo tizio e motivarne l’assurda violenza con qualche tipo di significato. Non dico che stessi facendo una cosa tipo, non so, “fan***o Gandhi” [ride]. Ma stavo cercando di radicarlo un po’ di più nella sua angoscia mentale per giustificare le sue azioni, e prendere un po’ di quel percorso… quindi credo fosse questo che stavo cercando di fare: umanizzarlo un po’ di più. Ma nei film c’è solo una quantità limitata di tempo, quindi puoi inserire alcuni momenti di quel tipo, ma non puoi avere una sottotrama che esplora quelle cose. Non in un blockbuster estivo o in un film Marvel.

È sicuramente vero che un blockbuster non può prendersi tutto quel tempo per definire la caratterizzazione psicologica di un personaggio e giustificarne accuratamente le azioni con il suo passato, ma Daredevil – sfruttando i pregi della serialità – è riuscito a fare proprio ciò che Sutter dice in questa intervista: lo stato mentale di Frank Castle poggia infatti su solide basi narrative e psicologiche, al punto che persino il simbolo del teschio viene spiegato in modo credibile. Insomma, alla fine i fan sono riusciti ad avere il Punitore che meritavano.

Fonte: Screen Rant (via Heroic Hollywood)

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