Silence – Martin Scorsese, Adam Driver e Liam Neeson presentano il film a New York

Silence – Martin Scorsese, Adam Driver e Liam Neeson presentano il film a New York

Di Leotruman

Articolo a cura di Adriano Ercolani, New York.

La Emery Ballroom è gremita all’inverosimile, ben oltre il numero di sedie disposte per i giornalisti. Quando alle due e venti del pomeriggio il cast di Silence si presenta per rispondere alle domande della stampa statunitense e internazionale, l’appluaso parte in maniera spontanea. Martin Scorsese e i suoi due attori Adam Driver e Liam Neeson lo accettano colpiti, quasi commossi. D’altronde Silence è uno di quei film che non possono lasciare lo spettatore distaccato, neutrale, a prescindere quasi dal fatto che piaccia o meno.

Ecco dunque i momenti più importanti della presentazione newyorkese di Silence.

Partiamo dal principio. Quando nasce la volontà di realizzare questo film?

Martin Scorsese – È un progetto che volevo girare da quasi trent’anni, ma per molto tempo non sapevo come farlo. Ci ho messo almeno due decadi per capire che questa era la forma giusta, non potevo pensarne un’altra per Silence. Il problema principale era che non sapevo come lavorare sulla struttura della storia per trasformarla in immagini. Ci ho messo molto tempo per rileggere il libro, trovare la via giusta dentro le parole di Shusaku Endo. Soprattutto mi ci sono voluti molti film, poi finalmente nel 2006 insieme a Jay Cocks abbiamo terminato la sceneggiatura.

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A livello stilistico Silence è molto differente dai suoi film immediatamente precedenti…

M.S. – È vero, con il passare degli anni ho capito che questa storia non necessitava un approccio aggressivo a livello visivo. Un arcivescovo mi diede il libro dopo aver visto L’Ultima tentazione di Cristo, ma negli anni ’90 prediligevo su un ritmo di riprese e di montaggio molto veloce, serrato, nello stile di Quei bravi ragazzi o Casino. Avevo anche sperimentato un altro approccio con L’età dell’innocenza, ma neppure quello per me si adattava al testo di Endo. Alla fine anche la mia visione del modo e del cinema è cambiata con i film, e quando abbiamo iniziato a cercare le location adatte per girare Silence sono stati gli ambienti naturali e la tranquillità nei paesaggi naturali a suggerirmi le inquadrature e il ritmo del montaggio.

Passiamo ai due attori: come vi siete preparati per interpretare Padre Garupe?

Adam Driver – Prima di tutto cercando di capire il momento storico e politico in cui Silence si svolge. Io e Andrew Garfield, che interpreta Padre Rodrigues, dovevamo assolutamente entrare nella mentalità di una cultura che tentava di bloccare il propagarsi del Cristianesimo ad opera dei Gesuiti. Ho studiato la storia di Nagasaki, che a quel tempo era una città importantissima per lo sviluppo politico e commerciale del Giappone. È da lì che partì la soppressione di chi professava la religione arrivata dall’Occidente. Mi sono anche preparato studiando un po’ di dialetto portoghese per mescolarlo al mio inglese. Per il resto temi come l’isolamento o l’angoscia sono piuttosto universali da interpretare, anche se questo è un film sulla religione ambientato nel XVII secolo alcuni sentimenti sono gli stessi di oggi. Mettere in discussione le tue certezze o dedicarti con tutto te stesso a una missione è un’esperienza che può essere contemporanea.

Liam Neeson – Anche io ho studiato con la maggior accuratezza possibile la situazione storica e politica del tempo, con i portoghesi che cercavano di esportare la figura di Dio e il Giappone che faceva di tutto per resistere a questa invasione che prima di tutto sentivano come politica. La contaminazione tra le due religioni divenne spesso un ibrido, molti contadini giapponesi credettero che il Cristianesimo fosse un’altra forma di Buddismo. I discorsi di Ferreira alla fine del film in realtà sono molto convincenti, io stesso probabilmente vi avrei creduto se fossi vissuto in quei tempi.

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Mr. Scorsese, cosa l’ha ossessionata così tanto da inseguire questo progetto per così tanto tempo?

M.S. – Il mistero del libro che mi ha appassionato per anni è stato quello dell’apostasia, e attraverso essa di conseguenza cosa significa avere veramente fede. Una tematica che attraversa molti dei miei film, e soprattutto è parte integrante della mia vita. Fin dalle prime immagini di Mean Streets, quando la voce off recita che i peccati non si scontano in chiesa ma sulle strade. Con l’apostasia si rinuncia alla verità esteriore che l’ha portato in Giappone e che viene considerata una vanità occidentale dai signori che governano il paese, ma alla fine si trova una verità ancora più profonda: avere fede significa proprio annullare il proprio ego, sacrificarlo per un bene superiore e comune. Il percorso di Padre Rodrigues per arrivare a questa consapevolezza è ciò che mi ha dilaniato maggiormente del testo di Endo. Come già detto ci sono voluti anni per arrivare a scoprire il modo di tradurre questo libro in cinema. Ripercorrendo a ritroso la mia carriera sento che film come L’ultima tentazione di Cristo e Kundun siano in qualche modo sono serviti per arrivare a Silence.

Mr. Driver, avete lavorato con esperti di religione per delineare i due Padri Gesuiti protagonisti del film?

A.D. – Ci siamo affidati a dei consulenti soprattutto per quanto riguarda il loro comportamento, dovevamo capire cosa significasse essere dei pionieri, addentrarsi in terre dove nessuno era mai stato con una missione che avrebbe potuto mettere in pericolo la loro vita. Dovevamo trovare sia il contesto storico dei nostri gesti e delle nostre parole sia ciò che significava per noi, per i nostri personaggi. Il processo di personalizzazione di gesti e comportamenti era altrettanto importante.

L.N. – Vorrei aggiungere che con Adam e Andrew abbiamo anche sostenuto una pratica giornaliera di esercizi spirituali durata circa un mese. Ci siamo mescolati insieme a veri gesuiti, il che ha reso clamorosamente ovvio chi fossero gli attori e chi gli uomini di fede…

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Come è stato lavorare con un cast quasi interamente composto di attori giapponesi?

A.D. – Per me affrontare soprattutto la barriera del linguaggio è stato emozionante, come allo stesso modo trovarsi in una terra straniera.

L.N. – Agli attori viene insegnato che devono “vivere il momento”. Gli attori giapponesi posseggono questo incredibile equilibrio che permette loro di essere sempre presenti, di cogliere ogni secondo. Ho ammirato la presenza di spirito che gli permetteva di girare decine di volte la stessa inquadratura ed essere sempre comunque presenti al loro personaggio.

M.S. – Sono sempre stati al loro posto, intendo dire quello fisico e concettuale che era stato assegnato loro nel film. Molti di loro li avevamo già provinati nel 2009, quando abbiamo cominciato le prime fasi della produzione. Shin’ya Tsukamoto, che è un filmmaker incredibile, un regista d’avanguardia oserei dire, ha interpretato Mokichi con una dedizione ammirevole, nella sequenza della tortura è rimasto sulla croce per ore e ore. Lo stesso posso dire per Yoshi Oida che interpreta Ichizo.

Ultima domanda: realizzare Silence vi ha cambiato interiormente?

L.N. – Non so se mi ha cambiato ma senza dubbio mi ha colpito molto interpretare Padre Ferreira. Era un gesuita realmente esistito, fu un enorme imbarazzo per la Chiesa quando commise l’apostasia. Quando ho affrontato la scena della tortura, pur con tutta la sicurezza dell’essere su un set cinematografico, mi è passato per la mente che tutti abbiamo un punto di rottura. Dalle ricerche fatte ho scoperto che Ferreira durò cinque ore, alcuni contadini giapponesi convertiti al Cristianesimo durarono addirittura svariati giorni. Io l’ho provato per girare la scena, due o tre minuti al massimo, e ne sono rimasto scioccato. Ti colpisce al cervello.

A.D. – Non so dire se questa esperienza mi abbia cambiato, non mi sono fermato ad analizzare le implicazioni spirituali del girare Silence, le domande che pone e le risposte che cerca. Forse me ne sono fatte prima di girare il film, mentre facevo ricerche per il ruolo. Per me è sempre bene ricordare che in fondo non sappiamo nulla, che con la fede dovrebbero essere associati i dubbi più che le certezze. Quello che so è che la religione non dovrebbe essere giustificata per perseguitare chi non la condivide con te, troppo spesso è una giustificazione per compiere atti discriminanti o peggio ancora violenti.

M.S. – Silence ha rinsaldato la mia convinzione che la fede vera non è quella che professiamo ma quella che viviamo ogni giorno, a casa o in mezzo alle persone, quella che mettiamo alla prova con le nostre azioni e che da esse trae il suo significato primo. In un mondo ormai pieno di immagini e parole che l’hanno smarrito, il significato dei nostri gesti determina che tipo di persone siamo, e quanto forte è veramente la nostra fede.

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Ecco la sinossi del film, ambientato nel XVII secolo:

SILENCE di Martin Scorsese racconta la storia di due missionari cristiani (Andrew Garfield e Adam Driver) che affrontano il test definitivo della loro fede quando viaggiano in Giappone per cercare il loro mentore perduto (Liam Neeson) – in un’epoca dove il Cristianesimo era fuori legge e la loro presenza era proibita. Il viaggio di 28 anni del grande regista per dare vita all’acclamato romanzo del 1966 di Shusaku Endo sarà nei cinema questo Natale.

Nel cast figurano anche Liam Neeson, Issei Ogata e Tadanobu Asano. La sceneggiatura di Silence è stata scritta da Martin Scorsese con Jay Cocks (Strange Days, Gangs of New York). Silence uscirà in Italia il 12 gennaio distribuito da 01 Distribution.

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Fonte: ScreenWeek

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