Agents of S.H.I.E.L.D. – La recensione della webserie su Slingshot

Agents of S.H.I.E.L.D. – La recensione della webserie su Slingshot

Di Lorenzo Pedrazzi

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Le ramificazioni del Marvel Cinematic Universe si fanno sempre più capillari, non solo in termini di personaggi e franchise a loro dedicati, ma anche sotto il profilo dei media in cui si sviluppano: Slingshot, a tal proposito, è la prima serie digitale nella storia del MCU, e nasce come spin off – ma anche prequel – della quarta stagione di Agents of S.H.I.E.L.D.. D’altra parte, l’universo narrativo marvelliano è talmente vasto da potersi permettere anche queste digressioni, sperimentando nuovi mezzi e nuovi protagonisti.

Sappiamo bene che i principali eroi dei fumetti Marvel rispondono a un certo profilo etnico-sessuale (maschi bianchi), lo stesso della maggioranza dei lettori alle origini della casa editrice, e i cinecomic non hanno fatto altro che replicare quella tendenza; la Casa delle Idee, però, sta puntando sempre più sulla diversità etnica, e i formati “alternativi” – cortometraggi, miniserie, web-serie – sono un ottimo terreno di sperimentazione dove cercare altre vie: non a caso, le prime protagoniste femminili (Peggy Carter e Jessica Jones) hanno trovato spazio nelle miniserie, e lo stesso discorso vale anche per il primo protagonista afro-americano (Luke Cage). In questo contesto, Slingshot offre un’opportunità a Elena “Yo-Yo” Rodriguez (Natalia Cordova-Buckley), prima eroina ispanica a prendersi la luce dei riflettori in un prodotto live-action della Marvel.

Personaggio con solide basi fumettistiche, Yo-Yo rappresenta proprio ciò che molti fan chiedevano a Agents of S.H.I.E.L.D.: più supereroi e più superpoteri. Così, dopo il parziale fallimento dei Secret Warriors (le cui apparizioni nella terza stagione sono state davvero sporadiche), Slingshot si conquista un posticino al sole grazie a questa web-serie, composta da sei episodi la cui durata varia tra i 4 e i 6 minuti. In sostanza è come guardare un cortometraggio di circa 23 minuti, completo e autoconclusivo.

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Giustizia o vendetta?
Dopo la sconfitta di Hive e la metamorfosi di Daisy (Chloe Bennet) in vigilante, Elena “Yo-Yo” Rodriguez (Natalia Cordova-Buckley) accetta controvoglia di firmare gli Accordi di Sokovia, incoraggiata dal supporto di Coulson (Clark Gregg). La priorità di Elena, però, è trovare Victor Ramon (Yancey Arias), il trafficante di armi che uccise suo cugino: Ramon si è impossessato di un’arma estremamente potente, ed è a piede libero negli Stati Uniti. Il Direttore Jeffrey Mace (Jason O’ Mara) si congratula con lei per accettato di firmare gli Accordi, ma la informa che dovrà seguire un rigido protocollo prima di poter dare la caccia al suo obiettivo; Elena, insoddisfatta, usa la sua ipervelocità per rubargli la scheda d’accesso, e ne sfrutta le credenziali per rintracciare il trafficante con il riconoscimento facciale. Fitz (Iain De Caestecker) e Simmons (Elizabeth Henstridge) le consegnano il nuovo dispositivo di segnalazione, proprio quando Elena scopre che Ramon si trova a Baltimora.

Sulla strada per l’hangar, s’imbatte in Mack (Henry Simmons), che la invita a cena. Poco dopo, però, May (Ming-na Wen) la ferma e le chiede di restituire la tessera di Mace. L’avverte di fare attenzione, ma decide di non denunciarla e le permette di partire con un Quinjet.

A Baltimora, Elena trova Ramon, ma viene tramortita da uno dei suoi uomini. Si risveglia legata a una sedia, e Ramon – in combutta coi Watchdogs – si appresta a ucciderla con l’arma che ha rubato: una sorta di fucile al plasma. In quel momento, Daisy irrompe nel loro covo e libera Elena, che insegue Ramon e gli punta la pistola. Decide di non ucciderlo, ma uno dei Watchdogs spara un colpo col fucile al plasma: Elena sfrutta la sua velocità per togliersi dalla traiettoria e disarmarlo, mentre Ramon viene disintegrato dal raggio. Lo S.H.I.E.L.D. interviene proprio in quell’istante, e Daisy si dilegua.

Nel presente, Elena e Daisy cancellano dal database tutte le tracce che attestano la presenza della velocista a Baltimora.

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Retro-continuity
Trattandosi di uno spin off che funziona anche come prequel, Slingshot compie un’operazione di retro-continuity sulla quarta stagione di Agents of S.H.I.E.L.D., divertendosi a illuminare alcuni coni d’ombra della trama: l’avventura solitaria di Elena ci rivela infatti com’è cominciata l’alleanza clandestina tra lei e Daisy, e stabilisce un legame con praticamente tutti i personaggi principali della serie, poiché esercita un’influenza sulle loro vite; chi l’avrebbe mai detto, ad esempio, che la convivenza tra Fitz e Simmons fosse nata da un’idea della velocista, peraltro suggerita solo per distrarre i due colleghi mentre cercava di rintracciare Ramon? La web-serie percorre a ritroso la mitologia recente dello show principale, incastonandosi al suo interno con una certa precisione.

Peccato però che gran parte degli episodi si affannino a giustificare i camei degli altri personaggi, lasciando poco spazio allo scontro risolutivo e generando un notevole squilibrio tra il finale e le sue premesse: l’epilogo si risolve frettolosamente (come il passaggio narrativo dalla base dello S.H.I.E.L.D. al covo dei criminali), e non permette all’eroina di esprimere tutto il suo potenziale. Va benissimo evidenziare il conflitto interiore di Elena tra le direttive degli Accordi e la sua missione personale, ma Slingshot è pur sempre una supereroina, e i suoi poteri reclamavano maggior spazio: insomma, si meritava almeno una scena d’azione degna di nota nel finale dell’avventura, senza bisogno di affidarsi così tanto all’intervento salvifico di Daisy.

È chiaro, comunque, che il flebile intreccio sia solo un pretesto per focalizzare l’attenzione su Elena e assegnarle un ruolo ben più ampio, ribaltando i giochi di forza della serie “madre”: lei diventa protagonista, mentre gli altri sono comprimari. La coralità di Agents of S.H.I.E.L.D. potrebbe generare altri spin off di questo tipo, anche se il rischio è di farne una “riserva indiana” per le minoranze etniche, un contentino poco impegnativo che resta ai margini del progetto generale. In ogni caso, Slingshot si rivela un piacevole “esperimento” che merita altri tentativi, possibilmente con una scrittura più curata.

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