Pezzo a cura di Adriano Ercolani
Michael Moore sa sempre come creare l’evento, come produrre interesse intorno al suo personaggio ormai ben consolidato. Questa volta ha adoperato l’effetto sorpresa, piazzando all’IFC Center di New York l’anteprima della sua nuova creatura, il cui titolo lascia pochi dubbi a riguardo: Michael Moore in TrumpLand.
Un nuovo, segretissimo documentario capace di smascherare le malefatte politiche ed economiche dello spauracchio in corsa per la Casa Bianca? Non esattamente. Come già scritto, Moore sa bene come vendersi…Quello che è stato presentato è un one-man show che Moore ha girato undici giorni fa nel Murphy Theater a Wilmington, Ohio, in una delle zone più conservatrici e quindi pro-Trump di tutti gli Stati Uniti. 73 minuti di montato che, soprattutto nella prima parte, sembrano proprio non andare da nessuna parte, se non a favore di chi li ha appunto realizzati. Invece di attaccare Trump in una delle sue “roccaforti” Moore si limita a mettere in scena una versione del suo personaggio adattato per l’occasione alla veste di stand-up comedian. Il risultato, seppur spiritoso in alcuni momenti, si rivela addirittura irritante poiché invece di fatti o teorie l’autore si limita a battute e siparietti.
Per la prima mezz’ora almeno, se non di più, si rimpiange davvero di non essere rimasti casa a guardare magari qualche servizio firmato da John Oliver.
Poi però, da astuto manipolatore ma anche sincero “crociato” qual è, compie una mossa narrativa di intelligenza sopraffina: lascia da parte Trump, su cui ha poco o nulla a disposizione, e inizia a parlare di Hillary Clinton. Ecco allora che il suo spettacolo trova un centro narrativo ma soprattutto emozionale, e si capisce finalmente che quello era fin dall’inizio l’intento del cineasta. E alloraMichael Moore in TrumpLand diventa un lavoro vigoroso, appassionato, addirittura commovente quando viene ricordata la battaglia della Clinton per l’assistenza medica totale quando negli Stati Uniti ogni anno muoiono in media 50.000 persone perché non hanno assicurazione o ne hanno una truffaldina che non copre alcune necessità basilari.
Il momento più forte e riuscito dello spettacolo è quello in cui Moore – cerchiamo di evitare spoiler – coniuga il sesso femminile e l’assenza di violenza. Avere una donna come Presidente degli Stati Uniti potrebbe davvero rendere il Paese e forse il mondo intero più sicuri. Sarà anche retorica, ma vederla applicare dall’autore di Bowling a Columbine di fronte a una sala gremita di suoi oppositori è francamente un momento che ci ha regalato emozioni potenti.
A conti fatti dunque Michael Moore ce l’ha fatta di nuovo: è riuscito nuovamente a far parlare di sé stesso, ha creato la “notizia”, e soprattutto con la seconda parte di Michael Moore in TrumpLand ha fatto arrivare al pubblico – non solo il suo…- il messaggio che ci teneva a consegnare. Da questo one-man show si esce sorridenti e un po’ scossi. Esattamente ciò che l’astuto Moore voleva…
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