Cinema Recensioni

La famiglia Fang – La recensione del film di Jason Bateman

Pubblicato il 23 agosto 2016 di Lorenzo Pedrazzi

Le famiglie disfunzionali sono un tòpos ricorrente nel cinema indie americano, e alimentano quel clima d’insofferenza che spesso circonda le commedie agrodolci uscite dal Sundance o da altri palcoscenici indipendenti, dove compiacersi della propria bizzarria è un peccato comune. Anche La famiglia Fang di Jason Bateman rischia d’innamorarsi delle sue stesse stramberie e del suo approccio intimista, eppure il copione scarta bruscamente la retorica più bieca e vira in un territorio poco esplorato. Non è un caso che la sceneggiatura sia opera del premio Pulitzer David Lindsay-Abaire, già indagatore di sentimenti anticonvenzionali in Rabbit Hole: stavolta, però, alla base del film c’è l’omonimo romanzo di Kevin Wilson, adattato per mettere in risalto la solidarietà tra due fratelli che subiscono l’onda lunga dell’influsso parentale, e incolpano i genitori dei loro attuali problemi. Ma, d’altra parte, non lo fanno tutti?

Annie e Baxter Fang (Nicole Kidman e Jason Bateman) sono i figli di Caleb e Camille Fang (Christopher Walken e Maryann Plunkett), artisti di fama mondiale che interpretano elaborate performance dove i passanti vengono inconsapevolmente coinvolti in situazioni tese, spiacevoli o surreali, spesso volte a smascherare l’ipocrisia e il perbenismo della “classe media”. Da piccoli, Annie e Baxter hanno partecipato in prima persona al lavoro dei genitori, con risultati anche traumatici, ma oggi sono diventati rispettivamente un’attrice hollywoodiana di successo e uno scrittore mediocre che arrotonda le sue entrate con improbabili servizi giornalistici. Quell’infanzia così insolita si ripercuote sulle loro insicurezze, e quando Baxter resta ferito durante un reportage in Nebraska, chiede l’aiuto di Annie perché non vuole restare da solo con mamma e papà, accorsi per prendersi cura di lui. L’inattesa riunione familiare dissotterra vecchi rancori, fino a quando Caleb e Camille non scompaiono nel nulla durante un viaggio in North Carolina: la loro auto viene trovata sul ciglio della strada, e nell’abitacolo ci sono tracce di sangue appartenenti a Caleb. È una tragedia o l’ennesima messinscena? Annie è convinta che sia tutta una farsa, e coinvolge il fratello in un’indagine dall’esito sorprendente.

Un soggetto del genere non può che nutrirsi di momenti paradossali e dialoghi arguti, dove la brillantezza della commedia si esprime “in levare”, sottraendo ogni potenziale eccesso dalle situazioni più melodrammatiche. Bateman è abile a usare lo straniamento per raffreddare i parossismi della trama, poiché Annie e Baxter – alla pari di noi spettatori – non smettono mai di stupirsi di fronte alle imprese dei genitori, e soprattutto davanti al loro fondamentale egotismo. In quanto performer che non creano un prodotto, bensì un’esperienza, i coniugi Fang sono liberi di autodefinirsi “artisti” perché nessuno può legittimamente affermare il contrario, e la satira del film esplora un dibattito che affonda le radici nel Dadaismo e nelle successive avanguardie: il concetto stesso di “arte” non è più definibile in termini dogmatici, poiché l’assenza di un gusto condiviso ha aperto le porte a tutte le sue possibili interpretazioni. La famiglia Fang, peraltro, ha il merito di non affrontare mai l’argomento in modo esplicito o didascalico, ma lo lascia fluire come un fiume sotterraneo lungo tutto l’arco della narrazione, preferendo raccontare una vicenda umana dove riecheggiano gli effetti di questa catastrofe artistica.

Tutte le insicurezze e i problemi relazionali dei giovani Fang nascono dalla tirannia creativa dei genitori, Caleb in primis, e lo scontro generazionale si dimostra irrisolvibile. Mentre passa dalla commedia stralunata al thriller psicologico, il film costruisce un toccante rapporto fraterno che valica le ossessioni legate al genere (al cinema, questo tipo di solidarietà lo vediamo sempre tra due fratelli o due sorelle, non tra fratello e sorella), e consente ai protagonisti di affrontare il conflitto con piglio antiretorico: non c’è spazio per la restaurazione dei valori tradizionali o delle istituzioni familiari, né per il perdono, ma solo per una scelta drastica che suona come una dichiarazione di autonomia psico-emotiva. La canzone Kill All Parents, cantata da Annie e Baxter durante una delle performance più famose, prefigura questa resa dei conti: d’altra parte, “uccidere” metaforicamente i padri è l’unica via per crescere davvero.

La famiglia Fang il 1 settembre nelle sale italiane, distribuito da Adler Entertainment. Troverete maggiori informazioni sulla pagina Facebook del film. Partecipate alla conversazione:

#LaFamigliaFang

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