Gli X-Men di Bryan Singer hanno sempre costruito le loro trame sulla discriminazione sociale dei mutanti, sfruttando una metafora un po’ didascalica – e sin troppo banalizzante – che cita la ricerca ossessiva di uno “spauracchio” su cui riversare la paura dell’opinione pubblica, secondo un processo che si reitera storicamente di decennio in decennio. X-Men: Apocalisse giunge al culmine di un’ideale trilogia che ha riscritto la timeline dei mutanti Marvel (peraltro con risultati molto confusi), ma è soprattutto il primo film dove Singer abbandona il tema della discriminazione per aprirsi a un’avventura di più ampio respiro, giocata sugli scenari epici e sul fan service.
Saldamente radicato fra i più grandi cattivi di tutto l’universo marvelliano, Apocalisse è la scelta migliore per allargare gli orizzonti del franchise, ma l’impressione è che il regista non riesca a infondere la giusta imponenza nella sua figura, penalizzata da un character design che ne umanizza eccessivamente le proporzioni e i tratti somatici, privandolo così della sua aura “divina”. Anche per questo, la missione di En Sabah Nur non convince mai del tutto, poiché la sua filosofia è alquanto nebulosa: il villain cattura l’attenzione quando sconfessa i falsi dèi della politica e della tecnologia (in un’epoca dove gli equilibri internazionali si reggevano ancora sulle due superpotenze), ma in seguito non fa altro che predicare un generico “nuovo ordine” dominato dai più forti, senza approfondire la sua follia utopistica. Ne deriva un netto sbilanciamento di carattere narrativo: la sceneggiatura di Simon Kinberg è un lungo prologo che fatica moltissimo a raggiungere il suo punto nodale, arrancando fino all’ultimo “atto” per introdurre i mutanti e incrociarne i percorsi. Come in Giorni di un futuro passato, anche stavolta emergono molte difficoltà nella gestione dei numerosi personaggi, alcuni dei quali sono ridotti alla stregua di figurine bidimensionali; basti pensare ad Angel e Psylocke, che pronunciano due parole in croce lungo tutto l’arco del film, restano sullo sfondo e si esprimono solo attraverso l’azione (anche se l’ispirato physique du rôle di Olivia Munn rende giustizia alla ninja mutante, almeno sul piano visivo).
In tal senso, non si può negare che Bryan Singer abbia compiuto qualche sforzo per riavvicinarsi all’iconografia dei fumetti, tradita nel primo film in nome di un discutibile “realismo”. X-Men: Apocalisse intende riavviare la saga cinematografica su premesse più libere e fantasiose, come dimostrano i nuovi costumi degli eroi e l’aggiunta di alcuni dettagli ben noti ai lettori, ma questi elementi di fan service risultano comunque estranei alla visione del regista. Singer si trova decisamente più a suo agio nel delineare i conflitti adolescenziali dei mutanti, soprattutto quando racconta le origini di Ciclope o mette in scena il tenero spaesamento di Nightcrawler, forse i personaggi migliori del film insieme a Quicksilver. Il velocista, inutile dirlo, ruba la scena: il suo intervento salvifico in slow motion corre sulle note di Sweet Dreams degli Eurythmics, e porta all’estremo la stilizzazione spettacolare di Giorni di un futuro passato, offrendo una distensione comica in un momento drammatico. A ulteriore prova di quanto il film funzioni meglio nelle singole scene isolate, il cameo di Wolverine è la miglior rappresentazione del mutante artigliato mai vista sul grande schermo, a parte forse la brevissima comparsata in First Class: la scena con Hugh Jackman è infatti un concentrato di brutalità ferina che sfiora quasi l’R-rated, ed evoca le origini narrate in Arma X.
I segmenti dedicati ai singoli personaggi sono quindi più efficaci rispetto al quadro generale, sin troppo votato alla pornografia della distruzione e al sovraccarico di effetti digitali, che talvolta mancano di solidità materica. In questo uragano di CGI, è interessante notare quanto il divismo degli attori abbia influenzato le soluzioni narrative: la centralità di Mystica e Magneto è dovuta sicuramente alla fama di Jennifer Lawrence e Michael Fassbender, al punto che la mutaforma assume addirittura il ruolo di leader ed eroina, pur celando una rigidità caratteriale che ostacola l’empatia. Più fascinosa, di contro, la parabola di Magneto, funestato da tragedie passate e presenti che giustificano appieno il suo rancore, come se l’eterno ritorno dell’orrore umano si abbattesse ciclicamente su di lui. Purtroppo la somma totale non corrisponde alla qualità delle sue singole parti, e i pregi di X-Men: Apocalisse restano isolati, diluendosi in un blockbuster sbilanciato e a tratti farraginoso, dove l’anello debole è proprio quel supervillain eponimo che avrebbe dovuto trasmettere un senso di minaccia e inevitabilità.
L’uscita italiana di X-Men: Apocalisse è attesa per il 18 maggio.
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