TV CULT – Le serie che hanno fatto la storia: LOST

TV CULT – Le serie che hanno fatto la storia: LOST

Di Andrea Suatoni

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La serie Lost, in onda sul canale americano ABC per un totale di sei stagioni (dal 2004 al 2010) ha segnato un vero e proprio caso mediatico, su più di un fronte. Un Cult del quale ancora oggi si discute (animatamente), soprattutto riguardo l’ambiguo e per molti versi insoddisfacente finale.
Si trattò di uno show che contribuì enormemente a cambiare l’idea di serie televisiva low-budget contrapposta alla grande produzione cinematografica, la cui cura nei particolari (dal montaggio, alla scelta degli attori, alle numerosissime e particolareggiate ambientazioni e via dicendo) lasciò un segno indelebile nella storia televisiva determinandone un epocale cambiamento e miglioramento.

Ma la fortuna di Lost non si deve solamente al quasi ineccepibile comparto tecnico (dal quale abbiamo, volutamente, escluso la sceneggiatura): Lost è in primis un fenomeno di marketing (fraudolento) senza pari nel panorama seriale di qualsiasi tempo.

“MARKETING” SERIALE

Non solo risulta difficile descrivere in primis ciò di cui la serie trattava (tutto è passibile di interpretazione), ma anche solamente tentare di far capire cosa Lost rappresentava al momento in cui è arrivato in TV.
Ciò che lo spettatore si apprestava a seguire sul piccolo schermo era una fitta serie di misteri (che riusciva a trattare la narrazione verticale dei numerosi personaggi principali come quasi mai era stato fatto prima), in una sorta di sfida con gli showrunner per indovinare o capire la vera natura di ciò che di puntata in puntata veniva trasmesso.

E’ così che il fenomeno Lost è nato: episodio dopo episodio, J.J. Abrams, Jeffrey Lieber e Damon Lindelof giuravano e spergiuravano di nascondere indizi essenziali a chiarire gli incredibili misteri della trama.
Trama che come già accennato è difficile da descrivere o (andando avanti con le stagioni) anche solo da rinvenire efficacemente: all’interno di efficaci episodi con tematiche autoconclusive incentrati ogni volta su uno dei diversi (più di venti) protagonisti, veniva svelata una trama orizzontale che prendeva le mosse dallo schianto di un aereo su di un’isola deserta piena di misteri inspiegabili, per poi virare verso derive scientifiche (introducendo ad esempio i viaggi nel tempo) o metafisiche (fino ad arrivare ad un sostanziale scontro fra semidei).

Una trama che riusciva però incredibilmente a reggere, fondandosi totalmente proprio su quel marketing virale portato avanti dagli sceneggiatori: il leit motive si Lost fu fin dall’inizio “Tutto verrà spiegato, tutto è connesso, ogni tassello andrà al suo posto”.
E’ stato questo ad appassionare incredibilmente i fan: migliaia di discussioni nei forum, ore spese a guardare e riguardare gli episodi per carpire gli indizi che avrebbero risolto i (numerosissimi) punti oscuri della trama, collegamenti trasversali fra personaggi e storyline autonome, in un tripudio di scrittura pomposa ed autoreferenziale che non poteva fare a meno di sottolineare la (presunta) estrema genialità degli showrunner.

Perché se da una parte le varie tematiche affrontate di puntata in puntata (dal rapporto padre-figlio, alla gestione psicologica di malattie invalidanti fisicamente, alla ricerca del proprio io interiore al rapporto scienza-fede e così via) rimanevano estremamente affascinanti a causa della loro buonissima trattazione orizzontale episodica, l’unione apparentemente sconclusionata delle vicende verticali-seriali a lungo termine intersecate con le prime appariva talmente forzato e fuori contesto da spingere sempre di più lo spettatore a cercare di capire quali geniali soluzioni narrative avrebbero dato un senso alla storia.

LOST - "Lost" stars Naveen Andrews as Sayid, Henry Ian Cusick as Desmond, Jeremy Davies as Daniel Faraday, Michael Emerson as Ben, Matthew Fox as Jack, Jorge Garcia as Hurley, Josh Holloway as Sawyer, Yunjin Kim as Sun, Ken Leung as Miles, Evangeline Lilly as Kate, Elizabeth Mitchell as Juliet and Terry OÕQuinn as Locke. (ABC/FLORIAN SCHNEIDER/BOB D'AMICO) JEREMY DAVIES, TERRY O'QUINN, MICHAEL EMERSON, MATTHEW FOX, ELIZABETH MITCHELL, JOSH HOLLOWAY, YUNJIN KIM, EVANGELINE LILLY, JORGE GARCIA, REBECCA MADER, HENRY IAN CUSICK, NAVEEN ANDREWS, KEN LEUNG

NONSENSE OVVERO: INTERPRETAZIONE

Quindi, al finire delle sei stagioni, durante le quali i vari misteri (che da qui in poi potremmo anche cominciare a chiamare buchi di sceneggiatura) sono stati fatti idealmente ricondurre ad una soluzione univoca che si sarebbe imposta come deus ex machina, quale scelta narrativa è stata adottata?

Nessuna.

Davvero. Gli ideatori, che fin dall’inizio avevano statuito di sapere benissimo come sarebbe terminata la serie ed in che modo avrebbero fatto totalmente quadrare il cerchio, hanno iniziato a fare un passo indietro alla volta, probabilmente accorgendosi di aver esagerato nel valutare le proprie capacità di scrittura: “Spiegheremo tutto” diventò pian piano “Fin dall’inizio volevamo solamente focalizzarci sulle vicende dei personaggi“. Le ultime stagioni, che inizialmente non erano neanche state pensate (poiché il progetto iniziale ne considerava 4 al massimo), presentano una narrazione continuamente allo sbaraglio, confondendo lo spettatore in un turbinio di flashback, flashforward (un metodo narrativo sostanzialmente nuovo che risulta forse la più grande innovazione lanciata da Lost), viaggi nel tempo e realtà semi-alternative (i famigerati flashsideway). I personaggi iniziarono a non avere più una propria identità di fondo e varie storyline risultarono completamente monche, a volte anche a causa della indisponibilità degli attori a continuare il lavoro sul set: fu il caso ad esempio dei personaggi di Libby ed Ana Lucia, le cui attrici vennero entrambe arrestate per guida in stato d’ebrezza nel periodo delle riprese, facendo calare anche quella narrazione verticale che era rimasta il cardine principale della serie.

Il finale della serie in definitiva appare quantomai oscuro ed ambiguo, ed ancora oggi è solo l’interpretazione personale degli spettatori che ha cercato, tramite (numerose e diversificate) teorie più o meno verosimili e coerenti, una reale spiegazione ai 117 episodi dello show: tutti i protagonisti presenti e passati (quelli che abbiamo visto morire all’interno della serie, che da questo punto nulla ha da invidiare alle “mattanze” odierne di serie come Game of Thrones o The Walking Dead) si ritrovano in una chiesa, salutandosi e ritrovandosi prima che tutto venga invaso da una sorta di luce divina.

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L’EREDITA’ DI LOST

L’operazione compiuta dagli showrunner ha diviso profondamente sia il pubblico che la critica, al punto che stereotipicamente oggi si asserisce che Lost “o si ama o si odia”. Alcuni si sono concentrati sulla storia dei personaggi ed hanno rinvenuto nella trattazione verticale (seppure il livello di questa fosse calato vertiginosamente nelle ultime 3 stagioni) una completezza che in effetti non si può definire non apprezzabile; altri invece (fra cui, è evidente, il sottocritto) sono rimasti sconcertati dalla totale inconsistenza (ed in definitiva, inutilità, se non per creare un fondale dipinto in modo troppo elaborato a quelle vicende verticali di cui sopra) della trama orizzontale di fondo, che costruiva intorno ad un’isola misteriosa una mitologia ed una cosmologia impossibili da spiegare o da riassumere coerentemente.

Gusti personali a parte, innegabile fu però la completa mancanza di rispetto degli showrunner verso i propri spettatori. L’hype di Lost e la gran parte dei suoi fan erano stati guadagnati dalla formula della sfida allo sceneggiatore: quella promessa di spiegare il tutto, tramite indizi minuziosamente nascosti in ogni episodio (e ogni volta scovati, ma rivelatisi nell’economia finale del racconto totalmente inutili e non collegati o collegabili affatto fra loro), non è stata mantenuta, dando vita ad un accesissimo dibattito che monopolizzò il mondo seriale nell’anno 2010.
Una sorta di maliziosa pubblicità ingannevole che avvicinò lo spettatore ad una serie che non poteva fare a meno di affascinare per la cura così profonda della propria fattura (a paragone con la serialità tipica di ormai 10 anni fa), ma contestualizzata all’interno di un’operazione sostanzialmente fraudolenta che risulta ancora oggi assolutamente imperdonabile.

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