Jodie Foster ha 53 anni, ma gliene daresti tranquillamente 10 di meno, se non di più. Ci si presenta con un semplice, ma elegante vestito blu notte, probabilmente di raso, che le scende fino alle ginocchia, lasciandole scoperte le braccia. I capelli biondo rame sono raccolti dietro ai lobi fino a sfiorarle con le punte le spalle. Gli occhi azzurri e la pelle bianco latte, su cui risaltano le sue leggendarie lentiggini, la rendono luminosa. Ci sorride fin dal ciao. Sentirsi a proprio agio è questione di attimi. Ci sediamo frontalmente sui due divani della suite del settimo piano dell’Hotel Carlton dove sono organizzate le interviste di Money Monster, il suo ultimo film da regista, attualmente in sala. «Clooney nei panni dello stronzo? Non ho dovuto spingere molto per farlo entrare nel personaggio» è la sua prima risposta. Avere coinvolto l’attore (e amico) statunitense stato una delle chiavi per la realizzazione di questo thriller su un giovane disperato che prende in ostaggio in diretta un giornalista esperto di finanza colpevole di aver consigliato, in una delle sue precedenti trasmissioni, un investimento azionario rivelatosi pessimo. La storia segue il graduale cambiamento del rapporto tra i due, vittima e sequestratore, gradualmente uniti dal desiderio di scoprire cosa sia successo a quella società che sembrava sana, senza però esserlo. La suspense è alta, il thriller è ben congegnato e avrebbe sicuramente raccolto abbastanza finanziamenti di suoi, ma, sottolinea la Foster: «Con Clooney a bordo ci sono bastati cinque minuti per coprire tutte le esigenze di budget».
Difficile oggigiorno trovare qualcuno che voglia investire nel cinema?
Più che in passato. Per fortuna parallelamente è cresciuta la televisione. Si possono fare ottimi prodotti per il piccolo schermo. Qualcosa ho fatto negli ultimi tempi (da regista, un episodio di House of Cards e due di Orange is the New Black ndr). Penso un giorno di potere alternare le due cose, realizzare film più piccoli mentre giro anche un po’ di televisione.
Stato difficile il lavoro sul set di Money Monster?
Da un punto di vista tecnico sì. Non ci ho dormito due anni. L’azione avviene in tempo reale, quattro telecamere, una macchina da presa, una ventina di monitor e un numero di schermi tv imprecisato, si vedono tutti nel film. Bisognava sincronizzare tutto, renderlo credibile e fruibile.
Ho corso un rischio, anche in termini di budget a disposizione, che ora mi apre nuove prospettive.
Questo forse è il suo film meno personale e più d’intrattenimento, cosa dobbiamo aspettarci dalla Foster del futuro?
Un progetto più intimo nel breve, ma ciò non vuol dire che voglia dire addio all’entertainment. Mi è piaciuto Money Monster, ho deciso che l’avrei girato appena finito di leggere la sceneggiatura.
Le interessava il tema Wall Street?
Anche. Si tratta di un momento storico particolare. La crisi del 2008 e le sue conseguenze ha coinvolto tutti in tutto il mondo.
Anche lei ha perso soldi in borsa?
(sorride)
In qualche maniera abbiamo perso tutti qualcosa, sia anche la credibilità nel sistema
C’è un errore nella sua carriera di cui più si dispiace?
L’aver fondato una mia casa di produzione a metà anni ‘90, la Egg Pictures. Sono orgogliosa dei film che ho prodotto, ma in definitiva avrei potuto impiegare il mio tempo in maniera più creativa. Tornando indietro non lo rifarei.
Che rapporto ha oggigiorno con il suo primo film da regista, Il mio piccolo genio, del 1991: ’ha mai riguardato?
Fu un lavoro fatto con passione come sempre quando si tratta del debutto. Ora mi pare un po’ acerbo, tutto era bianco o nero. Avevo però solo 25 anni, non l’esperienza che ho adesso per capire le persone. In generale, se guardo alla mia carriera, anche da attrice, non posso che ritenermi fortunata. Ho iniziato negli anni ‘70 vivendo l’età d’oro del cinema americano, quella dei grandi filmmaker. E sono ancora qui. Se ci penso posso ritenermi orgogliosa di alcuni traguardi che ho tagliato. Del resto stare qui a parlarne ne è in qualche modo una conferma.