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Veloce come il Vento – La recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 08 aprile 2016 di Roberto Recchioni

VELOCE COME IL VENTO: LE INTERVISTE A REGISTA E PROTAGONISTI

Se fosse un film americano, si parlerebbe di un solido dramma sportivo.
Se fosse un film americano, lo si definirebbe come una pellicola che parla di due underdog e di una rivalsa.
Se fosse un film americano, se ne esalterebbe il perfetto sviluppo dello script, l’ottima regia, la ricercata fotografia, l’esaltante montaggio, l’esaltante colonna sonora e la splendidà intensità delle interpretazioni.
Ma Veloce come il Vento, non è un film americano ma italiano e allora bisogna dire altro. Del suo spaccato sociale, per esempio. O del suo racconto della provincia. Oppure del sensibile ritratto familiare.
Ma soprattutto, bisogna dire che è un bel film in special modo perché è italiano. Come se fosse un miracolo che il nostro cinema sia riuscito a realizzare qualcosa di bello e fuori dai soliti schemi delle commedie e dei film intimisti.
Ecco, grazie ma no grazie.
Prima di tutto perché negli ultimi due anni di film italiani buoni e diversi ne sono usciti parecchi (Il racconto dei Racconti, Smetto Quando Voglio, Pecore in Erba, Bella e Perduta, Perfetti Sconosciuti, Suburra, Non Essere Cattivo, Lo Chiamavano Jeeg Robot e altri).

Poi perché Veloce come il Vento è scritto rispettando una solidissima e rodata struttura drammatica che, da Rocky a oggi, non ha mai fallito. Perché, come tutti i film di genere, dice grossomodo le solite cose, ma come i migliori film di genere, le dice bene e con personalità. È un bel film perché diretto con un occhio che sa coniugare la spettacolarità dell’azione e la profondità dell’ambiente. È un bel film perché ha personaggi in cui è facile credere ed è ancora più semplice fare il tifo, e questa cosa in una pellicola di tema sportivo è importante. È un bel film perché i suoi attori sono bravi, così come è bravo tutto il comparto tecnico e artistico. Infine, è un bel film perché sa emozionare, coinvolgere, commuovere e far esaltare.

Il fatto che sia anche un film italiano è solo un qualcosa in più, che tutto sommato è anche un elemento marginale se non fosse che proprio la sua italianità ce lo fa sentire più vicino.
E questo è un bene: perché abbiamo bisogno di buone storie che ci raccontino.
Ma la cosa migliore di Veloce come il vento è che si tratta di una pellicola ambiziosa.
E l’ambizione è quella di fare un film che parla di un riscatto umano attraverso una disciplina sportiva, che possa stare allo stesso livello di tante altre pellicole straniere dallo stesso tema.
E ci riesce.

Nella regia di Rovere ci sono echi del miglior Friedkin automobilistico, quello de Il Braccio Violento della Legge e al Ronin di John Frankenheimer, ma c’è anche spazio per qualche smargiassata in aria di Fast and Furious e qualche patinatura alla Day of Thunder di Tony Scott, il tutto ben amalgamato in una rappresentazione della provincia emiliana che rimanda a certi film newyorkesi dei tardi anni ’70.

Il montaggio è forte, invasivo, quasi pubblicitario, quando le cose si fanno intense. Ma per un film del genere è proprio quello che vi vuole, specie se poi a fare da contrappunto c’è una colonna sonora di alto livello, cucita sul film in maniera straordinaria. E poi ci sono uno straordinario Stefano Accorsi (straordinario sul serio, non sto esagerando), che sembra quasi una versione simpatica del Christian Bale di The Fighter, e una composta e intensa Matilda De Angelis, che sembra quasi una potenziale Jennifer Lawrence italiana. E tutti vanno fortissimo in questo film.
Tagliano le curve, non le fanno tonde.
In poche parole, fatevi un favore e andatelo a vedere.
E quando tornerete a casa spingendo sul gas un pelo più di quanto sarebbe sensato fare, capirete quanto questo film abbia funzionato.

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