Venerdì 1 aprile debutteranno su Netflix i primi dieci episodi di The Ranch, la nuova sit-com che riunisce Ashton Kutcher e Danny Masterson dopo il loro exploit in That 70s Show. I creatori sono due veterani delle commedie televisive americane: Don Reo (Brothers, Due uomini e mezzo) e Jim Patterson (Due uomini e mezzo, Mike & Molly).
Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER.
Colt (Ashton Kutcher) è un giocatore di football semi-professionista che torna in Colorado per sostenere un provino con una squadra locale, e ne approfitta per rivedere la sua famiglia, che ha una fattoria nelle vicinanze. Suo padre Beau (Sam Elliott) e suo fratello Rooster (Danny Masterson) sono sorpresi di vederlo, e fra loro s’innasca subito un rapporto conflittuale. Sua madre Maggie (Debra Winger), che gestisce un bar nelle vicinanze, è invece felicissima di poterlo riabbracciare.
Il provino va bene, ma la prospettiva di giocare in una squadra minore è troppo avvilente, e Colt preferisce rinunciare. Decide quindi di restare a casa, dove aiuterà suo padre e suo fratello con la fattoria, anche perché c’è molto lavoro da fare e la situazione economica non è favorevole. Colt, però, non è più abituato alla vita in campagna, e dovrà riacquisire i ritmi della vita di provincia, dove si cena presto e ci si sveglia prestissimo, e il massimo dello svago è rappresentato da una birra al bancone del bar. Inoltre, Colt ritrova Abby (Elisha Cuthbert), la sua ragazza dei tempi del liceo, ora fidanzata con un ex membro della banda scolastica: accettare di averla persa non sarà facile, e nemmeno rinunciare ai vecchi sogni da star del football…
La rivincita dei redneck
Netflix espande i suoi contenuti originali alle sitcom multi-camera (quelle con le risate registate, per intenderci), ma seguendo due strade parallele: se la recentissima Fuller House è il sequel di uno show preesistente, The Ranch è invece una serie creata apposta per la nota piattaforma on-line, con il vantaggio di un cast riconoscibilissimo e di un’ambientazione pressoché inedita. Ashton Kutcher e Danny Masterson occupano ancora un posticino nel cuore dei fan grazie alle otto stagioni di That 70’s Show, eppure il vero tocco di classe risiede altrove, nei veterani Sam Elliott e Debra Winger, che interpretano i genitori di Colt e Rooster. Questa dialettica tra le due generazioni è uno dei cardini di The Ranch, poiché tra genitori e figli esiste uno scarto di natura umoristica, oltre che mentale: a Colt e Rooster è affidata una comicità più farsesca e demenziale, mentre Beau e Maggie sono caratterizzati da uno humor ben più disilluso e sornione, figlio della loro età e delle esperienze vissute.
Tali differenze risultano ancor più marcate rispetto all’ambientazione socio-geografica della serie. La stragrande maggioranza delle sitcom – soprattutto nell’archetipo di questo sottogenere – si focalizza sui contesti urbani o suburbani della borghesia metropolitana (ovvero la classe medio-alta che affolla il settore terziario), con famiglie o gruppi di amici dove la varietà etnica e la diversificazione sessuale sono imperanti; The Ranch, al contrario, esplora il ventre profondo della provincia americana, popolata da redneck tradizionalisti e ultraconservatori, lontani anni luce dal melting-pot delle grandi città. Beau è un dinosauro burbero e reazionario, Colt e Rooster sono due trentenni ignoranti e scavezzacollo, Maggie è una donna caparbia che si gode il suo piccolo mondo, e le loro esistenze si svolgono sullo sfondo rurale del white trash, dove la musica country è una religione imprescindibile. Il confine tra la parodia e l’esaltazione di questi “modelli” è piuttosto labile, ma lo show ha certamente il merito di stravolgere l’ambientazione tipica delle sitcom, uscendo dalle metropoli per immergersi in una realtà più viscerale e concreta, nonché molto diffusa fuori dai centri urbani.
Meno stravolgente è l’umorismo dello show. Le dinamiche narrative e i tempi comici sono un po’ vetusti, poiché dominati dalla rigidità consequenziale delle battute e dalle pause distensive tra una gag e l’altra, in linea con la vecchia tradizione delle sitcom a camera multipla. Netflix concede però l’utilizzo di un linguaggio molto più scurrile della media, insieme a un approccio vagamente più libertino nei confronti del sesso: The Ranch, in tal senso, non è una sitcom “per famiglie”, ma si rivolge un pubblico adulto e smaliziato, pur avendo una comicità che talvolta sfocia nella goliardia adolescenziale. Il punto di vista maschile è prevalente (sia per il tipo di umorismo sia per lo sguardo lubrico sulle bellezze femminili), mentre le donne ricoprono un ruolo marginale, anche se in genere appaiono più colte e/o assennate degli uomini. Molte gag sono basate sulla rivalità tra i due fratelli, sulle tendenze metrosexual di Colt e sul rifiuto categorico del mondo moderno da parte di Beau: il meccanismo è abbastanza prevedibile, ma saltuariamente gli sceneggiatori centrano la battutina brillante che strappa una risata sincera.
Le scelte di casting sono indubbiamente ispirate, soprattutto grazie all’ingenua dabbenaggine di Ashton Kutcher e alla proverbiale imperturbabilità di Sam Elliott. Siamo di fronte a un gruppo di ex “futuri divi” mai pienamente sbocciati (non solo Kutcher, ma anche Danny Masterson, Debra Winger, Elisha Cuthbert), ed è curioso che la vicenda di Colt rispecchi così limpidamente le loro carriere: interpretare una sitcom, nel loro caso, è proprio come tornare alle origini e ricominciare, azzerare tutto per ripartire. La ricostruzione comincia necessariamente dalle basi, dalla tradizione della televisione americana, ma con quel tocco di novità – la piattaforma straming e le sue innovazioni – che proietta verso il futuro. Anche se, in questo caso, i legami con la tradizione prevalgono su tutto il resto.
La citazione:
«Beh, ricordo quella volta che ad Halloween dei bambini bussarono alla porta per chiedere “Dolcetto o scherzetto?”, e papà rispose: “Smith o Wesson?”.»
Ho apprezzato:
– Lo stravolgimento del contesto socio-geografico rispetto alla media delle sitcom
– Le valide scelte di casting
– Il linguaggio e i riferimenti sessuali più espliciti
Non ho apprezzato:
– L’impostazione “multi-camera” eccessivamente tradizionale
– I tempi comici e l’umorismo un po’ prevedibili
– L’ambiguità tra esaltazione e parodia
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