X-Files – La recensione del quinto episodio: Babylon

X-Files – La recensione del quinto episodio: Babylon

Di Lorenzo Pedrazzi

Babylon, quinto episodio della nuova miniserie di X-Files, introduce Robbie Amell e Lauren Ambrose nel ruolo di due agenti che rispecchiano parzialmente il carattere di Mulder e Scully

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

A Dallas, due ragazzi musulmani si fanno saltare in aria in una galleria d’arte, ma uno dei due riesce a sopravvivere: si chiama Shiraz, ed è in coma. Intanto, a Washington, Mulder (David Duchovny) racconta a Scully (Gillian Anderson) che molte persone in giro per il mondo hanno sentito un suono attribuibile alle trombe dell’Apocalisse, almeno per i credenti. Nell’ufficio di Mulder fanno capolino gli agenti Miller (Robbie Amell) e Einstein (Lauren Ambrose), e per un momento hanno l’impressione di guardarsi in uno specchio. Miller chiede il loro aiuto per comunicare con Shiraz, convinto che sia possibile interrogarlo a livello “metafisico”, mentre Einstein – pragmatica e razionale – non vuole perdere tempo con certe sciocchezze ed è ansiosa di andare a Dallas per prevenire un altro attentato. Nonostante la loro divergenza di opinioni, Mulder – all’insaputa di Scully – propone a Einstein di tentare un esperimento: assumerà un fungo allucinogeno per librarsi oltre il piano fisico dell’esistenza e comunicare con l’attentatore. Einstein, seppur recalcitrante, accetta. Al contempo, però, anche Scully fa una proposta a Miller: misurare le onde cerebrali di Shiraz e registrare le sue eventuali risposte agli stimoli esterni.
Questo tentativo non sortisce risultati apprezzabili, ma in compenso Mulder, dopo aver assunto la sostanza psicotropa, vive un’esperienza allucinogena in cui si dà alla pazza gioia: fa un ballo di gruppo in un locale di musica country, folleggia con il vice direttore Skinner (Mitch Pileggi) e i Pistoleri Solitari, viene coinvolto in un breve gioco sadomaso con l’agente Einstein, e infine si ritrova a bordo di una barca dove la madre di Shiraz tiene suo figlio tra le braccia, come la Pietà di Michelangelo, e il ragazzo sussurra delle parole in arabo.
Mulder si risveglia in ospedale, e scopre che Einstein gli aveva dato un placebo, non i veri funghi allucinogeni. La madre di Shiraz arriva per assistere il figlio, e dice che il ragazzo le è comparso in sogno e durante le preghiere, rivelandole di non aver attivato la sua bomba: vedendo i volti di quelle persone innocenti, nel museo, ci ha ripensato. Shiraz muore poco dopo. Mulder, però, ricorda le parole da lui sussurrate nella “visione”, e Miller – forte della sua precedente esperienza in Iraq – riesce a tradurle: “Babylon Hotel”. È lì che si nascondono gli altri terroristi, pronti per l’attentato successivo. Un reparto speciale irrompe nelle loro stanze e li arresta.
Alla fine, Einstein riconosce che alcuni misteri non si possono spiegare, mentre Mulder e Scully parlano del potere della suggestione e della lotta perenne tra amore e odio. A un certo punto, Mulder sente un suono di tromba proveniente da un punto indefinito.

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Never go full “Hank Moody”
Quando c’è Chris Carter alla guida di un episodio di X-Files, ormai possiamo aspettarci di tutto. Babylon è un pastiche eterogeneo che mescola registri molto diversi tra loro, a conferma di quanto lo sceneggiatore ami contaminare riflessioni metafisiche, considerazioni sull’attualità e un gusto decisamente camp.

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La base di partenza è il terrorismo islamico, tema delicatissimo che Carter cerca di affrontare da una prospettiva equidistante, bilanciando rabbia e autocritica tramite le voci degli opinionisti televisivi, ma anche attraverso il punto di vista dei nuovi agenti Einstein e Miller. Se l’assoluzione di Shiraz appare un po’ goffa e affrettata sul piano narrativo (perché priva di un’adeguata preparazione in termini di climax), c’è da dire che l’episodio non offre né il tempo né lo spazio necessario ad approfondire un argomento così complesso, e infatti Carter sembra lasciarlo in secondo piano per concentrare l’attenzione sui misteri del sovrasensibile, ponendo domande cui non si possono attribuire risposte. Eppure, tende a non prendersi troppo sul serio: il nucleo dell’enigma coincide infatti con la sequenza allucinatoria dove David Duchovny attiva la modalità “Hank Moody” e sembra ripercorrere il suo passato di Californication, rubando la scena in un locale di Dallas sulle note di Archy Breaky Heart (famigerato pezzo country di Billy Ray Cyrus che dà il “meglio” di sé nei balli di gruppo). Siamo oltre la sfera del kitsch, e Carter lo sa bene, come se volesse demistificare proprio quella mitologia e quei personaggi che milioni di fan considerano intoccabili; non a caso, la sequenza ospita i camei del serioso Skinner e dei Pistoleri Solitari, questi ultimi relegati a una comparsata sin troppo fugace e deludente.

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Babylon è quindi un episodio spiazzante, difficile da digerire per i fan più radicali, ma non priva di risvolti arguti o divertenti. I dialoghi, ad esempio, sono piuttosto brillanti nell’intensità del botta e risposta, e mettono in scena un dualismo tra mentalità opposte: l’agente Einstein, nello specifico, incarna i principi della razionalità e del pragmatismo con una convinzione persino maggiore di Scully, e la sua dialettica con Mulder e Miller genera battute taglienti su ambo i fronti. Non è facile vedere i due nuovi agenti come una versione giovanile dei nostri eroi, soprattutto perché mancano di complicità e ironia, ma una certa simmetria è percepibile: come dice bene Scully, «Lei lo chiama Miller».

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Detto questo, Babylon ha quantomeno il merito di cercare nuove strade, stravolgendo la struttura classica delle puntate di X-Files e tenendo gli occhi aperti sulla realtà contemporanea. L’alleggerimento della trama è un sintomo della disillusione, com’è già accaduto con Mulder and Scully Meet the Were-Monster, ma in modo meno smaccato e e autoreferenziale: più che altro, Carter affida la guida dell’episodio a Mulder, e l’umorismo guascone dell’agente fa il resto. Il risultato è straniante, sgangherato e convincente solo a tratti, ma la sregolatezza di fondo è apprezzabile, purché non si consideri lo show come un’entità sacra.

LA CITAZIONE: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero. È la fonte di ogni vera arte e scienza.»

HO APPREZZATO: I dialoghi arguti e vivaci; la sregolatezza di fondo; lo stravolgimento della struttura “classica” degli episodi; il primo incontro con i “cloni” di Mulder e Scully.

NON HO APPREZZATO: I parossismi camp; l’eccessiva eterogeneità dei registri, poco amalgamati fra loro; la caratterizzazione grezza di Einstein e Miller.

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Ma più che altro, arrivederci. Una serie di Apple TV+ che mi sarebbe piaciuto tanto farmi piacere. E invece.

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