FUOCOAMMARE DI GIANFRANCO ROSI VINCE L’ORSO D’ORO
Torna Michael Moore a distanza di sei anni da Capitalism: A love Story. Stavolta la sua camera non inquadra, come in passato, gli Stati Uniti, le sue contraddizioni e sperequazioni, non almeno direttamente. Come ha affermato lui stesso nel videomessaggio inviato alla Berlinale, dove il film è stato presentato, per giustificare la propria assenza (motivi di salute), “neanche un fotogramma è stato girato negli States”. Non è vero: qualcosa di a stelle e strisce c’è, ma si tratta di materiale d’archivio e di raccordo narrativo. Eppure l’intero Where to invade next parla di America. Lo fa capovolgendo il solito punto di vista. Andando a mostrare come funziona altrove. Cosa? Un po’ tutto. L’alimentazione, i sindacati, l’educazione, il rapporto con il proprio passato, le pari opportunità, le ferie pagate e tutto ciò di cui si compongono le parole welfare e giustizia sociale, le stesse che oltreoceano vengono spesso interpretate come comunismo, ma che nel vecchio continente sono date quasi per scontate. Ecco allora spiegato il titolo: Dove invadere la prossima volta. Ovvero da dove prendere le idee, invece che cercare di tentare di esportare democrazia o rifornirsi di materie prime.
Certo, Moore “banalizza” alcune questioni, cita casi eccezionali come emblemi di sistemi non sempre così perfetti come possono sembrare. In Italia visita gli stabilimenti della Lardini e della Ducati per dimostrare il buon rapporto tra dipendenti e titolari di una fabbrica, ma sono due eccellenze nostrane, non la norma. Ma prendere alla lettera il suo viaggio, le sue domande, le sue espressioni spesso forzatamente sorprese da ciò che ascolta, significherebbe non capire il senso del film. Ovvero non dare risposte, ma porre domande.
Se si è americani chiedersi “perché non cambiare”. Se si è europei “continuiamo a vigilare che le conquiste sociali ottenute dai nostri avi continuino ad essere rispettate”. Where to invade next dice tutto questo intrattenendo. Si sorride, anzi si ride. E anche tanto. E ci si commuove. Difficile pretendere di più da un film.
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