The Walking Dead ritorna stasera: dove eravamo rimasti

The Walking Dead ritorna stasera: dove eravamo rimasti

Di Andrea Suatoni

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UN FENOMENO IN ASCESA

Era il 2010 quando a Frank Darabont (acclamato regista de Il miglio verde e de Le ali della libertà) fu affidato dal canale statunitense AMC il progetto di creare una serie televisiva basata sul fumetto The Walking Dead di Robert Kirkman (anche lui voluto fortemente nel progetto, nel doppio ruolo di produttore e sceneggiatore).
Ne risultò una stagione di soli 6 episodi che, partita in punta di piedi, riuscì a folgorare tutti gli amanti del genere. Forte del successo di pubblico e critica, la serie venne quindi rinnovata di stagione in stagione fino alla settima (già in programma, mentre attualmente sui nostri schermi va in onda la sesta), decisa ad andare sicuramente oltre.
Da una media di 5 milioni di telespettatori iniziale ad una di 13 (passando per il picco di 15 milioni toccato dalla quinta stagione), The Walking Dead continua a guadagnare fan e a cavalcare l’onda di un successo che, a dirla tutta, risulta quasi inspiegabile.

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UNA SERIE SOPRAMMOBILE

The Walking Dead non può non affascinare. E’ una serie sulla sopravvivenza, in cui la tensione non riesce mai a calare e nella quale è impossibile non preoccuparsi continuamente della possibilità che uno dei nostri personaggi preferiti possa uscire di scena da un momento all’altro: è uno show incentrato sulla morte, e quando andiamo ad accendere il televisore sappiamo benissimo a cosa andiamo incontro, lo accettiamo in partenza in un sorta di tacito patto con gli sceneggiatori. Ma quello che poteva (e doveva) essere il più grande pregio di The Walking Dead diventa invece a lungo andare il suo più grande difetto. Solo la morte dei personaggi principali riesce a dare vita (il gioco di parole è voluto) alla serie, le cui pecche nella scrittura sono quasi imbarazzanti. Un esempio fra tutti è quello della prima metà della seconda stagione, che non riesce mai a ripetere o anche solo a ricalcare le atmosfere della prima e poi ci sorprende con la scena di Sophia: perfetta, impeccabile, magari telefonatissima (ma come abbiamo già detto i problemi di scrittura ci sono, e purtroppo si percepiscono), ma che fa dimenticare tutta la noia delle (troppe) vuote puntate precedenti.

La noia è lo spauracchio onnipresente nello show di Darabont: intere puntate che migrano dalla trama orizzontale a diverse sottotrame verticali che vorrebbero indagare sulla psicologia dei personaggi ma non ne hanno la forza; e allora (ancora) i drammi interiori, le scelte, le caratterizzazioni riescono ad emergere solo in funzione della morte degli altri personaggi, facendo risultare il gruppo di protagonisti poco più che delle macchiette stereotipate su cui sono applicate statiche etichette che vanno da “duro dal cuore tenero” a “bambino cresciuto troppo in fretta” a “donna nera con le palle” e così via (è così dura indovinare a chi queste etichette corrispondono…?), con forse l’unica eccezione di Carol, che sempre di più sta assurgendo al ruolo di regina della serie. Look at the flowers, just look at the flowers.

La vera forza di The Walking Dead diventano in fin dei conti proprio i morti viventi: studiati alla perfezione in ogni loro movimento (le comparse seguono un vero e proprio corso per imparare a muoversi, a respirare il meno possibile, ad essere credibili mentre mangiano finta carne umana, e così via) ed in ogni singolo dettaglio fisico, la costruzione degli zombi è ineccepibile.

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DOVE ERAVAMO

Dopo essere fuggiti da Atlanta, aver trovato rifugio prima in una fattoria con degli inquietanti segreti e poi in una prigione agognata da altri superstiti, i nostri protagonisti hanno finalmente trovato una sorta di stabilità nella comunità fortificata di Alexandria, dove si sono uniti ad un gruppo di persone che, rimaste fin da subito al sicuro nelle proprie mura, non hanno ancora pienamente compreso quanto il mondo sia cambiato dopo l’apocalisse zombie.

A pochi chilometri dalla cittadina però, Rick e i suoi scoprono una formazione naturale nella quale migliaia di morti viventi sono rimasti intrappolati da alcuni tir. Mentre i dettagli di una soluzione al problema sono ancora in preparazione, l’enorme orda riesce a fuoriuscire e i nostri sono costretti ad attuare il piano al momento: pilotare i morti lontano da Alexandria.

Nel frattempo, la comunità viene attaccata da un gruppo di misteriosi uomini con delle W tracciate con il sangue sulle proprie fronti; grazie soprattutto alla prontezza di Carol i danni e le vittime riescono ad essere contenuti. Ma fatalità vuole che un camion degli assalitori si schianti contro le mura accendendo il clacson del veicolo, che inizia a richiamare parte della mandria. Daryl, Sasha e Abraham procedono con il piano originale, continuando ad allontanare la parte dell’orda non attratta dal clacson, mentre Rick, Michonne, Glenn, Nicholas e quelli che si riveleranno essere carne da macello tentano di tornare ad aiutare gli altri. Non tutti riescono nell’impresa: fra la moltitudine di caduti spicca Nicholas, che in una situazione disperata assieme a Glenn ha un crollo nervoso e si uccide, decretando apparentemente anche la fine dell’amico (il tutto tramite scelte di regia incredibilmente rozze e grossolane, al punto che nei forum online la possibile morte di Glenn non è stata quasi nemmeno presa in considerazione).

Rick e Michonne arrivano al Alexandria, ma la situazione presto precipita: l’orda è arrivata e complice il tempestivo crollo della torretta di guardia gli zombie si riversano nelle strade della cittadina.
Nel frattempo, Glenn è sopravvissuto in modo rocambolescamente assurdo (abbiamo già parlato di pessima scrittura…?) ed insieme ad Enid si trova davanti l’agghiacciante scenario, pronto come sempre ad adoperarsi per fare la differenza, al contrario della ragazzina, che puntata dopo puntata comincia sempre di più a dare vita ad un personaggio interessante e di spessore.
Anche Daryl, derubato della sua mitica balestra, Sasha ed Abraham stanno tornando alla base, ma vengono intercettati da alcuni uomini che sembrano avere pessime intenzioni (se non ricordate di aver visto questa scena… È forse perché è avvenuta al termine dei titoli di coda, copiando un trend in voga in tutte le grandi produzioni Marvel).

Nel caos generale, la dottoressa (in erba) Denise viene rapita da uno degli uomini che avevano attaccato Alexandria, che Morgan teneva recluso in cantina seguendo la sua politica del “non uccidere nessuno”; Maggie, che abbiamo scoperto essere incinta, rimane isolata dal gruppo; Michonne, Gabriel, Rick, Jessie e i loro figli (dopo il triste addio a Deanna, morsa da uno zombie) usano il collaudato trucco delle interiora per cercare di fuggire, ma il piccolo Sam potrebbe mandare tutto all’aria.

Melissa McBride as Carol Peletier - The Walking Dead _ Season 6, Gallery - Photo Credit: Frank Ockenfels 3/AMC

COSA DOBBIAMO ASPETTARCI?

Il cliffangher lasciato dal midseason è succulento: oltre a lasciare in pericolo praticamente ogni personaggio presente nello show, alcuni punti caldi sui rapporti fra gli stessi, ancora tutti da definire, sono venuti alla luce ed esplosi: quelli conflittuali fra Ron e Carl e soprattutto fra Carol e Morgan, senza tralasciare le differenti opinioni di Rick e Michonne riguardo ai residenti di vecchia data, e all’opposto quelli romantici sbocciati fra Rick e Jessie e fra Tara e Denise e, ad uno stato embrionale, fra Carl e Enid ma anche (forse) fra Sasha e Abraham.

Denise è stata rapita e alcuni rumors vedono una parte della storyline concentrarsi proprio su di lei.
Alexandria sembra perduta, anche se i nostri sembravano intenzionati a difendere la loro zona franca a qualsiasi costo; inoltre, l’introduzione di un ulteriore gruppo di bad guys, quello capeggiato da Negan, ci fa presagire l’ennesimo conflitto.

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INSIDE JOKES

Per tutta la durata della serie, come spesso succede quando un prodotto prende le mosse da un altro, gli sceneggiatori hanno inserito dei particolari che solo chi ha fruito di entrambi può arrivare a comprendere: ad esempio con la sequenza del primo arrivo di Michonne, o con la costruzione del rapporto fra Carol e Tyreese (la prima nella serie uccide la donna del secondo mentre nel fumetto i due erano una coppia), o come nel momento in cui il gruppo di motociclisti che ferma Daryl e gli altri pronuncia il nome “Negan”, importante personaggio del fumetto ma perfetto sconosciuto per chiunque altro. Questi cosidetti inside jokes sono spesso delle piacevoli strizzate d’occhio ai fan del fumetto, ma hanno a volte il difetto di insistere su colpi di scena veri e propri; con il risultato che il lettore del fumetto rimarrà colpito, mentre il resto del pubblico della serie percepirà una sorta di nonsense carico di pathos che non riuscirà a comprendere in un momento cruciale della narrazione.

Come accade nella sequenza finale con Sam nell’ultima puntata andata in onda: l’inquietudine intorno alla scena è un qualcosa che al telespettatore arriva ma di cui non riesce a comprendere il motivo, e che lo lascia insoddisfatto.

Una insoddisfazione che quando si parla di The Walking Dead sembra essere l’emozione principale: tutti lo seguono, ma sono pochi quelli che lo amano davvero. Le potenzialità sono straordinarie (il motore narrativo della sopravvivenza e del pericolo ad ogni battuta, dato dallo sfondo apocalittico, fa gran parte del lavoro solo sulla base di un concept estremamente azzeccato), gli zombie sono incredibilmente credibili, ma la bravura del cast è ridotta al minimo sindacale e la trama fa acqua da tutte le parti. L’affezione per i personaggi però non è mai messa in discussione, e la grande fortuna dello show torna a girare intorno ad un’unica cosa: la (possibile) morte dei protagonisti.
Ecco perchè ad ogni nuova puntata di The Walking Dead sapremo già che potrà volare qualche sbadiglio incontrollato o qualche sorriso rassegnato; ma quel sottofondo di tensione ed ansia generalizzate è troppo gustoso per poterlo abbandonare. E poi, è una serie che parla di zombie. E tanto basta.

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Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di The Walking Dead sul nostro Episode39 aquesto LINK.

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